• Il C I S (Cooperazione Italiana Solidarietà) nasce nel 1994 con sede a Canelli ( At ); è Onlus di volontariato registrata all’Agenzia delle entrate. Reperisce materiale e apparecchiature sanitarie, farmaci, e li trasporta direttamente tramite furgone ad ospedali od enti sanitari di paesi bisognosi, in guerra o colpiti da calamità naturali.Trasporta anche direttamente autoambulanze revisionate e le guida, cariche di apparecchiature sanitarie, fino ad ospedali africani dove vengono donate.
• Paesi visitati: Ruanda (1994-95-97 durante il conflitto), Burundi, Bosnia e Kossovo (durante il conflitto), Libano (2 volte durante il conflitto), Armenia, Bielorussia (dopo Cernobyl), Nicaragua (durante la guerra civile), Brasile, Albania, Macedonia, Georgia (2 volte durante il conflitto), Sudan (3 volte), Eritrea, Mauritania (3 volte), Egitto, Marocco, Turchia, Siria, Gibuti, Senegal (3 volte), Malì (2 volte durante il conflitto), Guinea (2 volte), Costa d'Avorio, Etiopia, Tanzania, Malawi, Zambia, Kenia, Uganda, Ruanda (2017), Senegal (2018-20), Armenia (2019),
• Le spese sostenute a totale carico del CIS consistono in: noleggio del furgone, tasse doganali o cauzioni e permessi vari per il trasporto del carico anche via mare; da alcuni anni acquistiamo ambulanze da donare ad ospedali; chi viene con noi si autofinanzia completamente.
• Con la onlus di Aosta Ana Moise Gal presidente, avevamo allora aiutato a finanziare interventi di cardiochirurgia in Italia, a bambini bisognosi da me selezionati, che vivono in paesi in cui tali interventi non sono eseguibili, in particolare l'Africa. Dal 2020 facciamo eseguire interventi cardiochirurgici pediatrici al Centro Cuomo di Dakar in Senegal, che finanziamo integralmente. Il responsabile cardiochirurgico del Centro è il prof. Gabriel CISSE.
Per devolvere il 5x1000 il codice fiscale è: 91009530055.
• Per donazioni: BPM codice Iban: IT56S0503447300000000020452
Le donazioni sono fiscalmente deducibili, verrà rilasciata ricevuta.
Presidente e fondatore Pier Luigi Bertola
Le donazioni sono fiscalmente deducibili, verrà rilasciata ricevuta.
Presidente e fondatore Pier Luigi Bertola
Il ricavato della vendita del libro va alla onlus.
Relazione 2018 Quest'anno il CIS ha inviato due autolettighe agli ospedali pediatrici di Mogadiscio in Somalia, fondato dal dr. L.Sartore e di Sokpontà in Benin fondato dal dr. P. Dimenza. A Giugno mi sono fermato due settimane a Saint Louis e Thies in Senegal, per visite mediche in ambulatori delle missioni delle suore di Cluny ed in ospedale. Abbiamo partecipato all'allestimento di un container con l'attrezzatura completa da studio dentistico ( donato dalla dr.ssa Masoero) e materiali vari per sala operatoria, (monitor, bilance per neonati ecc. donati dal dr. Bracco ), pediatria, ortopedia ( da Bonini Ortopedia ), farmaci; da inviare all'ospedale di Antsiranana nel nord del Madagascar; tutto questo grazie alla segnalazione del prof. Umberto Valente ( ex direttore del Centro Trapianti Ospedale San Martino di Genova. ) A causa dell'embargo dell'Iran, abbiamo consegnato numerosi scatoloni di farmaci e materiale sanitario al dr. Moshen, che li farà portare a mano ad ospedali iraniani. Stiamo ancora aspettando che ci comunichino la data di ricovero, per l'intervento al cuore del piccolo Charles, che ho visitato in Senegal a Giugno. Una coppia di futuri sposi: ( G.Colonna e F.Patruno ), ha deciso di fare durante il pranzo di nozze una lotteria, il cui ricavato andrà al CIS per l'intervento di Charles. Abbiamo finanziato un pozzo d'acqua in Malawi vicino alla missione di padre Kimu. E' stato supportato il viaggio di due ragazze di Canelli: Erica Bene e Francesca Amandola in Malawi. Sono andate in un centro che ospita 450 bambini a Mangochi, fondato dall'instancabile Joseph Kimu ! Le ragazze si sono trovate così bene, che vogliono tornarci l'anno prossimo. Ho allestito un container carico di farmaci da inviare ad ospedale pediatrico in Somalia. Grazie al dr. Bracco ero riuscito ad ottenere dall'ospedale S.Martino di Genova, un grosso quantitativo di letti quasi nuovi, che volevo inviare all'ospedale S.Louis in Senegal, ma problemi burocratici hanno rinviato la partenza.Ho anche supportato il viaggio in Congo dei due preti di Sampeyre: don Claudio e don Luca. Hanno portato in Africa un pickup per centro di sordomuti. Ringrazio di cuore tutte le persone che mi hanno aiutato. | |
Mauritania strada Nouadhibou-Nouakchott
Strada Nouadhibou-Nouakchott Mauritania 2013
Mauritania 2013 strada Nouadhibou-Nouakchott
Guinea; pista rossa dopo Koundara
Guinea 2013 pista Koundara-Bokè
Viaggio del CIS in Costa d'Avorio
Resoconto del viaggio riportato da Pier Luigi B., presidente onlus CIS.[1]
Wikinotizie 23 Gennaio 2014
La Partenza
Mauritania. strada per Nouakchott |
Il 23 gennaio in una fredda giornata invernale dopo la sosta di rito alla Medicina dell'ospedale di Nizza m.to per i saluti ed un breve caffè, il CIS (Cooperazione Italiana Solidarietà) riparte da Canelli con imbarco dell'ambulanza sul traghetto a Genova per Tangeri. Siamo in quattro: Bruno, Piergabriele e Luciano più il sottoscritto. Due giorni di ottima navigazione con arrivo nel primo pomeriggio al porto nuovo di Tangeri circa 40 km ad est della città.
Appena arrivati in dogana comincia subito l'incubo che durerà per tutto il viaggio: ci faranno passare? Negli anni precedenti non abbiamo incontrato alcun problema pagando le solite cauzioni ma ora ci fermano ed i doganieri dicono che l'ambulanza non può entrare in Marocco anche se solo per transito.
Oltre ai mille documenti fatti fra cui quello del Ministero della sanità della Costa d'Avorio che dichiara di accettare il mezzo con i materiali, le autorità marocchine pretendono un certificato redatto dall'Ambasciata della Costa d'Avorio in Marocco a (Rabat) che dice di accettare il dono.
È sabato e gli uffici sono chiusi, non c'è problema dicono perché con un transiteur lunedì mattina in un attimo ripartiremo; è una pura formalità burocratica. Decidiamo di andare in città ma con autobus perché il mezzo è sequestrato in dogana.
La Medina di Tangeri è molto suggestiva come anche il mercato del pesce; lunedì mattina alle 8 come concordato siamo in dogana, il transiteur questa volta dice invece che ci sono problemi e ci affida al capo dogana, serioso signore sulla cinquantina che ci dice senza mezzi termini di tornare indietro, perché l'ambasciata a Rabat dovrà ricevere il nulla osta dal Ministero della Costa d'Avorio!
Cerco con ogni mezzo di risolvere il problema ma lui è irremovibile.
Cerco e trovo una persona già incontrata in precedenza che per un congruo contributo si presta ad aiutarci nelle tante pratiche. La sera dopo un estenuante via vai agli uffici doganali Ciano ed io siamo stanchi, abbiamo il morale a terra, non abbiamo mangiato, fa freddo, piove, insieme raggiungiamo gli amici e comunichiamo loro che possiamo partire il giorno dopo.
Oltre ai mille documenti fatti fra cui quello del Ministero della sanità della Costa d'Avorio che dichiara di accettare il mezzo con i materiali, le autorità marocchine pretendono un certificato redatto dall'Ambasciata della Costa d'Avorio in Marocco a (Rabat) che dice di accettare il dono.
È sabato e gli uffici sono chiusi, non c'è problema dicono perché con un transiteur lunedì mattina in un attimo ripartiremo; è una pura formalità burocratica. Decidiamo di andare in città ma con autobus perché il mezzo è sequestrato in dogana.
La Medina di Tangeri è molto suggestiva come anche il mercato del pesce; lunedì mattina alle 8 come concordato siamo in dogana, il transiteur questa volta dice invece che ci sono problemi e ci affida al capo dogana, serioso signore sulla cinquantina che ci dice senza mezzi termini di tornare indietro, perché l'ambasciata a Rabat dovrà ricevere il nulla osta dal Ministero della Costa d'Avorio!
Cerco con ogni mezzo di risolvere il problema ma lui è irremovibile.
Cerco e trovo una persona già incontrata in precedenza che per un congruo contributo si presta ad aiutarci nelle tante pratiche. La sera dopo un estenuante via vai agli uffici doganali Ciano ed io siamo stanchi, abbiamo il morale a terra, non abbiamo mangiato, fa freddo, piove, insieme raggiungiamo gli amici e comunichiamo loro che possiamo partire il giorno dopo.
Fra Nouakchott e Aleg |
Anche in Mauritania si ripete la stessa musica , ci dicono che dobbiamo accettare una scorta pagata profumatamente ma che partirà fra qualche giorno, alle mie rimostranze verbali, avevo portato lì e donato ambulanza 3 anni fa accettano di farci passare. La sera siamo a Nouadhibou da padre Jerome già noto per altre 2 visite. Per qualche ora ci rilassiamo in compagnia.
Un sacerdote francese a cena ci tranquillizza sulla strada che avevamo scelto per arrivare in Malì e che dalle notizie fornite ci era stata indicata come molto pericolosa per sequestri; visito un bambino di 2 anni affetto da grave malformazione encefalica, purtroppo il caso è inoperabile e spiego la cosa alla povera mamma con il dovuto tatto.
Scarichiamo materiale per l'ospedale e per la missione, sono molto poveri! Siamo in ritardo sulla tabella di marcia e decidiamo di tentare la strada più corta evitando quella più sicura del Senegal. Per oltre 450 km non troviamo rifornimento di benzina, in pieno deserto l'ambulanza vola letteralmente sulla strada costellata da paurose buche e plana su una di queste. Risultato 2 cerchioni rotti con gomme afflosciate.
Piero alla guida aiutato da Luciano navigatore ma intento a filmare se la prende con chi doveva aggiustare la strada responsabile secondo lui dell'incidente! Abbiamo una sola ruota di scorta, come si fa? Fermiamo due camionisti che si prodigano all'inverosimile per aiutarci, decidiamo di fare aggiustare la ruota di scorta da un meccanico molto più in là.
La caotica capitale Nouakchott non suscita particolare interesse e proseguiamo in direzione di Aleg. È l'una, il sole picchia implacabile, da ore non si vede un posto riparato per pranzare, vedo un po' d'ombra sotto un'acacia cui è legata una capra ma Luciano, l'aristocratico del gruppo, si rifiuta di mangiare in compagnia di quell'animale selvatico!
Dopo un po' appare una tenda di tuareg, chiedo ai proprietari di poter mangiare all'ombra sotto la tenda, i 3 pastori gentilmente accettano e ci scambiamo del cibo, è un'atmosfera simpatica e curiosa, prima di ripartire Bruno regala una confezione di dolci che ci viene prestamente restituita perché scaduta!
Che figura! Verso sera il paesaggio è molto suggestivo, perché le dune illuminate dal sole calante assumono un colore rossiccio a volte roseo, spuntano rari alberi di acacie alternati a più frequenti fichi d'India, che dominano il paesaggio.
È sera, cala lentamente il buio, la prudenza ci consiglia di fare sosta a Boutilimit, ridente paese nel cuore della Mauritania ma i cui distributori di benzina riforniscono solamente gasolio, cosa che avevamo già in parte capito appena entrati.. Poco più in là una coppia di turisti francesi nel 2009 erano stati vittima di un grave attentato.
La mattina successiva all'alba si riparte, strada costellata di buche, che presto cede il posto ad una pista di oltre 100 km, la cosa strana è che di fianco alla pista corre la nuova strada in via di asfalto, ma il traffico per circa 100 km è deviato sulla vecchia pista, molto malconcia col risultato che a causa del transito di camion, il fondo stradale è sconnesso e la polvere sollevata da questi automezzi, ci ricopre di una sabbia rossiccia che arriva anche in bocca, si infila persino negli zaini ed inceppa alcune macchine fotografiche.
Stiamo attraversando una delle zone più belle ma più pericolose del paese, verso le nove di sera la gendarmeria stupita della nostra presenza, ci ferma affidandoci ad una scorta armata che ci conduce ad una cittadina di confine Ayoùn el Atroùs circa 210 km dopo Kiffa. La polizia ci avverte che da lì in poi la strada sarà molto pericolosa per noi occidentali, la responsabilità di quanto ci potrà accadere sarà solamente nostra!
È sera, cala lentamente il buio, la prudenza ci consiglia di fare sosta a Boutilimit, ridente paese nel cuore della Mauritania ma i cui distributori di benzina riforniscono solamente gasolio, cosa che avevamo già in parte capito appena entrati.. Poco più in là una coppia di turisti francesi nel 2009 erano stati vittima di un grave attentato.
La mattina successiva all'alba si riparte, strada costellata di buche, che presto cede il posto ad una pista di oltre 100 km, la cosa strana è che di fianco alla pista corre la nuova strada in via di asfalto, ma il traffico per circa 100 km è deviato sulla vecchia pista, molto malconcia col risultato che a causa del transito di camion, il fondo stradale è sconnesso e la polvere sollevata da questi automezzi, ci ricopre di una sabbia rossiccia che arriva anche in bocca, si infila persino negli zaini ed inceppa alcune macchine fotografiche.
Stiamo attraversando una delle zone più belle ma più pericolose del paese, verso le nove di sera la gendarmeria stupita della nostra presenza, ci ferma affidandoci ad una scorta armata che ci conduce ad una cittadina di confine Ayoùn el Atroùs circa 210 km dopo Kiffa. La polizia ci avverte che da lì in poi la strada sarà molto pericolosa per noi occidentali, la responsabilità di quanto ci potrà accadere sarà solamente nostra!
Malì :Bamakò |
Malì: strada Nioro - Sikasso |
Mali
Il Malì contrariamente alla Mauriania è un paesaggio ricco di acqua e quindi di verde,piante dal fusto alto.Forse il tenore di vita sembra migliore a giudicare dal numero impressionante di moto e di venditori di ogni cosa! Breve sosta a Sikasso per pranzare in uno squallido ristorantino dove la nostra USL non oserebbe neppure entrare, riprendiamo il viaggio verso le ore 15.
Forse se non perdiamo altro tempo possiamo ancora farcela, gli amici sono stanchi, la strada è pessima, decidono senza consultarmi, di fare il viaggio con la coppia di belgi che si fermano, prima per la perdita di acqua dal radiatore e poi per una foratura con grave danneggiamento del cerchione.
Li aiutiamo per la foratura ed aspettiamo pazientemente che il meccanico aggiusti la ruota di scorta. Per esperienza so che in questi casi le persone, dopo un viaggio stancante cercano ogni scusa per fermarsi, è comprensibile! Il tempo passa si avvicina la sera, insisto per andare subito in dogana perché penso che chiudano alle 18, gli amici mi dicono invece che è aperta tutta la notte, so che non è vero!.
Forse se non perdiamo altro tempo possiamo ancora farcela, gli amici sono stanchi, la strada è pessima, decidono senza consultarmi, di fare il viaggio con la coppia di belgi che si fermano, prima per la perdita di acqua dal radiatore e poi per una foratura con grave danneggiamento del cerchione.
Li aiutiamo per la foratura ed aspettiamo pazientemente che il meccanico aggiusti la ruota di scorta. Per esperienza so che in questi casi le persone, dopo un viaggio stancante cercano ogni scusa per fermarsi, è comprensibile! Il tempo passa si avvicina la sera, insisto per andare subito in dogana perché penso che chiudano alle 18, gli amici mi dicono invece che è aperta tutta la notte, so che non è vero!.
COSTA D'AVORIO
Arriviamo in dogana alle
20, come prevedevo è chiusa, dobbiamo pernottare lì. Il programma va cambiato,
non possiamo più portare il mezzo all'ospedale prescelto, ma tirare diritto per
la capitale per chiedere il visto all'ambasciata della Guinea. Il capo dogana
assente perché ammalato di malaria, viene ugualmente a salutarci per
ringraziarci per il dono dell'ambulanza attrezzata! In meno di tre ore le
pratiche doganali sono concluse.
Un pignolo impiegato sanitario pretenderebbe da noi anche il certificato contro la meningite, che non abbiamo fatto perché non obbligatorio. Alle 11 ripartiamo per Nielle, gli "amici belgi" non ci hanno aspettato, ma Bruno, Ciano e Piero sperano invano di essere da loro contattati per una visita della città come promesso!
Avverto suor Rosanna di venirci incontro. Nella nuova capitale Yamoussoukro, di fronte ad una mastodontica chiesa copia di San Pietro a Roma con il colonnato perfettamente identico all'originale del Bernini avviene il tanto desiderato incontro con suor Rosanna della missione delle suore salesiane di Duekouè.
Doniamo anche alla suora il gagliardetto della sezione alpini di Asti, che ci ha sempre aiutato nei nostri viaggi. Sono emozionato, abbiamo terminato il viaggio umanitario e consegnato l'ambulanza, mi viene un nodo alla gola. Ci siamo persi purtroppo la cerimonia di consegna del mezzo con tanto di festa in mezzo ai bambini e la diretta radiofonica.
Pazienza non si può sempre avere tutto! In serata suor Rosanna ci accompagna dai salesiani ad Abidjan, mangiamo in tarda serata stanchi ma contenti. Utilizziamo le ottime razioni di cibo che Bruno ha pazientemente ed intelligentemente portato dall'Italia, e che ci sono servite per colazione e pranzo, a volte anche per cena durante tutto il viaggio, brindiamo con l'ottima barbera dell'amico Domenico recentemente scomparso.
Qui almeno possiamo bere il vino in tranquillità, perché non ci vede nessuno! Mattino dopo, giovedì, in ambasciata per il visto rilasciatoci in 24 ore dopo una mia telefonata in Guinea, per contattare un dirigente del Ministero, senza il cui aiuto non avremmo di certo ottenuto il visto in così poco tempo perché, tanto per cambiare, l'impiegato ci aveva escluso di darci il visto prima dei soliti tre giorni, anche se noi gli avevamo detto di avere il volo sabato giorno di chiusura degli uffici.
Alla missione salesiana di Abidjan in Costa d'Avorio, efficiente struttura di allegri giovani sacerdoti, ho visitato un prete con grave restringimento delle arterie coronariche, diabete, obesità,colesterolo, pressione ed acidi urici alle stelle e che non mostrava alcun sintomo.
Ho insistito con i suoi superiori per ulteriori esami, gli ho fatto io stesso un ECG risultato molto alterato! Mi hanno poi detto che il sacerdote è andato in Spagna per esami. Comunque sono in contatto via e-mail con questo caso che seguirò personalmente.
Abidjan è come ogni città africana caotica e colorita, ha una bella laguna con un lungomare ricco di costruzioni francesi dei primi del secolo, con palmeti a ridosso della spiaggia. Anche qui persone gentili e non invadenti. Ottima cena (con pastasciutta) e serata dalle intraprendenti e simpatiche suore salesiane, che danno l'opportunità a Bruno ed a Luciano di parlare delle proprie impressioni di viaggio.
A parte le visite mediche di rito la cosa, che mi ha più colpito è stata la visita al campo salesiano di recupero dei bambini di strada; bambini dai 6-7 ai 12 anni che letteralmente vivono di espedienti sulla strada, immaginatevi le bambine !Qui dopo 3 mesi di accoglienza vengono dati in carico ad un altro centro gestito dalle suore, che insegnano loro a leggere e scrivere cercando di rintracciare qualche familiare che li possa poi seguire.
Il giorno successivo siamo all'aeroporto per andare da Riccardo in Guinea, ma le sorprese non sono finite; il volo è stato cancellato, dobbiamo ripartire il giorno successivo. Al momento della partenza in dogana a Piero e Luciano vengono sequestrate le 2 bottiglie di vino, che dovevamo portare a Riccardo. Insisto con un'impiegata, le bottiglie ci vengono restituite! Luciano contento le spedisce impacchettate in stiva.
Guinea
Un pignolo impiegato sanitario pretenderebbe da noi anche il certificato contro la meningite, che non abbiamo fatto perché non obbligatorio. Alle 11 ripartiamo per Nielle, gli "amici belgi" non ci hanno aspettato, ma Bruno, Ciano e Piero sperano invano di essere da loro contattati per una visita della città come promesso!
Avverto suor Rosanna di venirci incontro. Nella nuova capitale Yamoussoukro, di fronte ad una mastodontica chiesa copia di San Pietro a Roma con il colonnato perfettamente identico all'originale del Bernini avviene il tanto desiderato incontro con suor Rosanna della missione delle suore salesiane di Duekouè.
Doniamo anche alla suora il gagliardetto della sezione alpini di Asti, che ci ha sempre aiutato nei nostri viaggi. Sono emozionato, abbiamo terminato il viaggio umanitario e consegnato l'ambulanza, mi viene un nodo alla gola. Ci siamo persi purtroppo la cerimonia di consegna del mezzo con tanto di festa in mezzo ai bambini e la diretta radiofonica.
Pazienza non si può sempre avere tutto! In serata suor Rosanna ci accompagna dai salesiani ad Abidjan, mangiamo in tarda serata stanchi ma contenti. Utilizziamo le ottime razioni di cibo che Bruno ha pazientemente ed intelligentemente portato dall'Italia, e che ci sono servite per colazione e pranzo, a volte anche per cena durante tutto il viaggio, brindiamo con l'ottima barbera dell'amico Domenico recentemente scomparso.
Qui almeno possiamo bere il vino in tranquillità, perché non ci vede nessuno! Mattino dopo, giovedì, in ambasciata per il visto rilasciatoci in 24 ore dopo una mia telefonata in Guinea, per contattare un dirigente del Ministero, senza il cui aiuto non avremmo di certo ottenuto il visto in così poco tempo perché, tanto per cambiare, l'impiegato ci aveva escluso di darci il visto prima dei soliti tre giorni, anche se noi gli avevamo detto di avere il volo sabato giorno di chiusura degli uffici.
Alla missione salesiana di Abidjan in Costa d'Avorio, efficiente struttura di allegri giovani sacerdoti, ho visitato un prete con grave restringimento delle arterie coronariche, diabete, obesità,colesterolo, pressione ed acidi urici alle stelle e che non mostrava alcun sintomo.
Ho insistito con i suoi superiori per ulteriori esami, gli ho fatto io stesso un ECG risultato molto alterato! Mi hanno poi detto che il sacerdote è andato in Spagna per esami. Comunque sono in contatto via e-mail con questo caso che seguirò personalmente.
Abidjan è come ogni città africana caotica e colorita, ha una bella laguna con un lungomare ricco di costruzioni francesi dei primi del secolo, con palmeti a ridosso della spiaggia. Anche qui persone gentili e non invadenti. Ottima cena (con pastasciutta) e serata dalle intraprendenti e simpatiche suore salesiane, che danno l'opportunità a Bruno ed a Luciano di parlare delle proprie impressioni di viaggio.
A parte le visite mediche di rito la cosa, che mi ha più colpito è stata la visita al campo salesiano di recupero dei bambini di strada; bambini dai 6-7 ai 12 anni che letteralmente vivono di espedienti sulla strada, immaginatevi le bambine !Qui dopo 3 mesi di accoglienza vengono dati in carico ad un altro centro gestito dalle suore, che insegnano loro a leggere e scrivere cercando di rintracciare qualche familiare che li possa poi seguire.
Il giorno successivo siamo all'aeroporto per andare da Riccardo in Guinea, ma le sorprese non sono finite; il volo è stato cancellato, dobbiamo ripartire il giorno successivo. Al momento della partenza in dogana a Piero e Luciano vengono sequestrate le 2 bottiglie di vino, che dovevamo portare a Riccardo. Insisto con un'impiegata, le bottiglie ci vengono restituite! Luciano contento le spedisce impacchettate in stiva.
Guinea
A Sobanè (Bofanet) vicino Boffa, Riccardo e Daniela ci accolgono con la solita
simpatia nella loro Maison des enfants: eccezionale villaggio da loro creato in mezzo alla foresta ed in riva all'oceano atlantico! Siamo rimasti colpiti da quanto riesce a fare per i 450 bambini orfani; questa coppia di bresciani che di certo non è più nel fiore degli anni e comincia ad avere qualche problema di salute.
La cosa per loro più importante è dare amore ai piccoli, forse quell'amore che a Lui Riccardo bambino orfano è mancato. La bellissima spiaggia bianca tropicale, le rocce eruttive vulcaniche, il sole caldo ma mitigato dal vento, la moltitudine di festosi bambini mi ripagano da tante fatiche e tensioni, mi mescolo volentieri fra loro, mi vogliono tutti toccare, abbracciare, salutare.
Qui visito anche un bambino di 7 anni con grave malformazione cardiaca. Per un eventuale intervento ho chiesto esami di approfondimento. Sarà il prossimo caso dopo la piccola Aminata del Senegal che verrà operata al Gaslini a metà Marzo; sarò presente in sala operatoria;il CIS si è fatto carico di metà della spesa per l'intervento. Purtroppo la diretta prevista con radio Veronica di Torino, ( che ci segue ormai da anni! ) per cui mio fratello Gian Carlo si era attivato, non può essere fatta per problemi di connessione, nella foresta non ci sono ripetitori e rimane quella fatta ad Abidjan.
simpatia nella loro Maison des enfants: eccezionale villaggio da loro creato in mezzo alla foresta ed in riva all'oceano atlantico! Siamo rimasti colpiti da quanto riesce a fare per i 450 bambini orfani; questa coppia di bresciani che di certo non è più nel fiore degli anni e comincia ad avere qualche problema di salute.
La cosa per loro più importante è dare amore ai piccoli, forse quell'amore che a Lui Riccardo bambino orfano è mancato. La bellissima spiaggia bianca tropicale, le rocce eruttive vulcaniche, il sole caldo ma mitigato dal vento, la moltitudine di festosi bambini mi ripagano da tante fatiche e tensioni, mi mescolo volentieri fra loro, mi vogliono tutti toccare, abbracciare, salutare.
Qui visito anche un bambino di 7 anni con grave malformazione cardiaca. Per un eventuale intervento ho chiesto esami di approfondimento. Sarà il prossimo caso dopo la piccola Aminata del Senegal che verrà operata al Gaslini a metà Marzo; sarò presente in sala operatoria;il CIS si è fatto carico di metà della spesa per l'intervento. Purtroppo la diretta prevista con radio Veronica di Torino, ( che ci segue ormai da anni! ) per cui mio fratello Gian Carlo si era attivato, non può essere fatta per problemi di connessione, nella foresta non ci sono ripetitori e rimane quella fatta ad Abidjan.
Abidjan:bambini di strada dai salesiani |
Grand Bassam: dopo la pesca |
Costa d'Avorio: vicino Grand Bassam |
Guinea: Bofanèt, si pesta il sorgo |
Notizia originale |
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Questo articolo contiene notizie di prima mano comunicate da parte di uno o più contribuenti della comunità di Wikinotizie. |
Resoconto del 3 febbraio 2013 a cura di Pier Luigi B, Presidente del CIS.
Il CIS (Cooperazione Italiana Solidarietà) riparte. Acquistata l'ambulanza e caricata di materiale sanitario
insieme a Bruno,Piero e Marzio ci imbarchiamo al porto di Genova e dopo due giorni di ottima navigazione con tempo splendido, anche se freddo (siamo partiti il 12 gennaio!) si arriva a Tangeri, ridente città marocchina sullo stretto di Gibilterra con un nuovissimo e funzionale porto, che ci accoglie la sera con una temperatura mite. Stranamente in meno di un'ora sbrighiamo le pratiche doganali ed iniziamo il viaggio via terra che ci porterà attraverso il Marocco, l'ex Sahara Occidentale, diventato ora una regione del Marocco, la Mauritania, il Senegal fino in Guinea.
Dopo esserci alternati alla guida per quasi l'intera notte in prima mattinata ci godiamo un buon tè alla menta alla periferia di Agadir al termine dell'autostrada. Pranzo al sacco con le ottime provviste di Bruno incaricato del vettovagliamento, mangiamo anche le sue piccole ma saporite mele del Monferrato, purtroppo il vino che ho portato non lo beviamo per la promessa fatta alla partenza di aprirlo solamente al termine del viaggio, eccetto Marzio che su questo punto si rimangia subito la promessa. Pernottamento e cena in un piccolo albergo a Tarfaya ed all'alba si riparte con arrivo in tarda mattinata alla frontiera con la Mauritania. Breve insabbiamento nella critica terra di nessuno ed in serata arriviamo alla missione di padre Jerome a Nouadhibou.
Il mattino successivo Marzio decide di fermarsi per completare le pratiche per un eventuale intervento di neurochirurgia ad una bimba che abbiamo incontrato nella missione e che soffre di una grave malformazione congenita al cervello. Piero cerca di ammutinarsi dicendo che vuole fermarsi ancora lì, ma dopo la mia ferma decisione di ripartire, a malincuore ci segue ed in serata siamo a Nouakchott, capitale della Mauritania, dopo esserci goduti strada facendo, uno stupendo tramonto sul deserto con riflessi dorati a sfumature rosee sulle dune.
Il giorno successivo arriviamo a Rosso, caotica città di confine con il Senegal sul fiume omonimo. Traghettiamo dopo 7-8 ore di attesa ma ormai ci siamo abituati a questi tempi africani. Qualche ora dopo arriviamo a Saint Louis, antica capitale del Senegal di chiaro stampo francese, che conserva un fascino ottocentesco con il ponte in ferro costruito dall'ingegner Eiffel, lo stesso della torre. Ci fermiamo in un albergo dell'epoca coloniale prospiciente il ponte. Ogni oggetto è ricco di storia che ci riporta indietro di 150 anni. Ai muri sono appesi antichi trofei di caccia grossa accanto a quadri che incorniciano ingialliti documenti d'epoca.
Il mattino successivo un buon cappuccino ci rimette subito in sesto per riprendere il viaggio fino a Dakar dove una allegra festa alla missione don Bosco ci rilassa scambiando quattro chiacchiere a tavola con ospiti locali. Non abbiamo neppure il tempo di salutare i numerosi amici senegalesi perché la mattina successiva dobbiamo arrivare alla missione di padre Feliciano a Tambacounda, nell'est del Senegal, pare una delle città più calde del Paese!
All'alba del giorno successivo ripartiamo per la Guinea che raggiungiamo nel primo pomeriggio. L'ambulanza viene fermata alla dogana di Koundara in attesa di informazioni dal Ministero. Il mattino successivo ripartiamo con un doganiere a bordo. L' asfalto termina dopo pochi chilometri e si entra quindi nella foresta con strada sterrata di color rossiccio. Ci separano circa 1000 km dalla capitale Conakry dove dobbiamo arrivare per consegnare l'ambulanza ed il materiale all'ospedale pubblico.
Durante il tragitto incontriamo rarissimi autocarri e dobbiamo aiutare l'autista di un furgone in panne caricandoci le numerose taniche di benzina ed altro materiale. Con quel caldo opprimente nell'ambulanza si avverte solo odore di benzina! Nella notte si arriva a Boké completamente ricoperti da terra rossa, ma contenti per aver potuto tenere un collegamento con una radio di Torino che ci segue nel viaggio grazie all'interessamento di mio fratello Gian Carlo. Nel piccolo albergo l'acqua della doccia scende con il contagocce ma almeno con un po' di pazienza possiamo toglierci tutta la polvere.
Il mattino seguente dopo aver attraversato numerosi villaggi, alcuni di mattoni, altri di paglia, arriviamo nella capitale Conakry, che ci sommerge con il suo caos e smog. Lasciamo l'ambulanza in dogana, iniziamo le pratiche per lo sdoganamento ed incontriamo un angelo custode ad un ufficio ministeriale, che ci prende in consegna e non ci molla per due giorni fino al termine della lunga procedura burocratica, che sembra non finire mai.
Rientrati in possesso dell'ambulanza ed opportunamente lavata, la consegniamo al principale ospedale della città. Siamo quindi ricevuti dalla moglie del presidente della Repubblica, che ci ringrazia meravigliata per l'ottimo mezzo. Ci dice che è la prima ambulanza che ricevono.
Il giorno dopo andiamo a vedere un sogno realizzato. Nel cuore della foresta in riva al mare, l'oceano Atlantico, sorge un villaggio di 450 orfani che ricevono un pasto caldo, un'educazione con scuole professionali sia per bambini che bambine e soprattutto tanto amore ed affetto. Riccardo ex orfano e sua moglie Daniela da dieci anni, si sono trasferiti da Brescia qui a Boffa, per realizzare il sogno di Riccardo: restituire quanto ricevuto! Siamo stati due giorni a contatto con questa eccezionale coppia, ed è impossibile non venirne contagiati.
Ho visitato oltre 140 bambini in ottime condizioni di salute. Abbiamo dato loro quanto ci rimaneva del nostro denaro con la promessa, ritornati a casa di concretizzare un aiuto per questi bambini. Il villaggio completamente fatto da volontari italiani, ha un ordine ed una pulizia esemplari: utilizza pannelli solari ed è autonomo in tutto, possiede una barca da pesca, un campo di riso (che però non è sufficiente a sfamare tutti questi voraci bambini!) ed acqua corrente. Al mattino c'è persino l'alzabandiera con tanto di inno.
Dakar:Il dr.Domenico Fornara dell'Ambasciata italiana
Al ritorno a Dakar riesco a visitare la bambina, che avevo fatto operare al cuore mesi prima. La piccola che ora ha sei anni, mi corre incontro felice, non finisce più di parlare, adesso è serena così come i suoi genitori. Visito un'altra bambina con malformazione al cuore, mi impegno a farla operare in Italia. Breve visita in ambasciata per consegnare un ricordo dell'Associazione Nazionale Alpini di Asti, e per predisporre le pratiche per l'intervento della piccola. Il segretario ci rimprovera bonariamente, perché ci aveva sconsigliato il viaggio via terra, per le criticità dell'attraversamento dell'ex Sahara Occidentale, della Mauritania e per l'entrata in Guinea, perché pare che nei pressi della frontiera qualche mese prima, turisti italiani siano stati depredati di quanto avevano! Qualche buona bottiglia di moscato di Canelli migliora il clima della conversazione. Questo non è il solito turismo e ti lascia sempre qualche cosa dentro!
Da Wikinotizie
Viaggio umanitario del CIS in Senegal e Mali
18 Maggio 2012
Senegal: Gorè isola degli schiavi
Dakar partenza con l'ambulanza
Dakar: insegnamento del Corano
Il Il viaggio per portare un'ambulanza all'ospedale di Kità in Malì è terminato e siamo rientrati a casa, Carlo, Piero ed io eravamo partiti a fine Aprile dopo un ennesimo rinvio per il colpo di stato ma avevamo deciso di fermarci alla dogana e di consegnare il mezzo a Yacouba, l'amico maliano che l'avrebbe guidata fino a Kità. Sdoganata l'ambulanza al porto di Dakar in Senegal comincia qui il viaggio via terra attraverso una delle zone più suggestive di questo bellissimo stato africano che pur tra mille problemi sembra non abbia dimenticato la voglia di vivere e divertirsi. In spiaggia tantissimi giovani praticano sport e non ti infastidiscono minimamente, dell'Italia ricordano il nome delle squadre più famose; per le strade è rarissimo incontrare coppie di giovani in atteggiamenti disinvolti come è raro vedere fumatori.
La capitale Dakar è immersa in un traffico caotico con una miriade di taxi giallo neri quasi tutti con la carrozzeria ricoperta da bolli. I salesiani come sempre sono contenti di ospitarci e partecipiamo alla festa di don Bosco.
Lu Lungo la strada che attraversa da ovest a est il Paese si incontra una moltitudine di gente a qualsiasi ora che cammina portando con sé qualche piccolo ortaggio o frutta da vendere al mercato. Siamo colpiti dal desolante spettacolo dei “bambini di strada” che i genitori affidano ad un precettore per l'insegnamento dell'Islam ma che in alcuni casi non si interessa neppure di procurar loro vitto ed alloggio.
Dopo un breve pernottamento dai salesiani di Tambacounda ci dirigiamo al confine con il Malì con apprensione perché abbiamo notizie di continui scontri fra i governativi e le truppe di guerriglieri che stanno poco per volta conquistando tutto il nord del Malì seminando terrore fra la popolazione; si parla di distruzioni di scuole, ospedali, chiese e strade.
A Arrivati di prima mattina alla dogana ci rendiamo subito conto che nonostante tutto c'è una lunga fila di camion in attesa di essere sdoganati, incontriamo l'amico Yacouba ma dopo le prime ore di attesa ci viene detto che per pagare il dazio per importare il mezzo dobbiamo arrivare alla prima città (Kaies) oltre 100 km dalla frontiera, non c'è molto da scegliere e decidiamo di entrare nel Paese ma senza l'ambulanza che ci viene sequestrata in attesa del pagamento.
Do Dopo qualche ora di attesa, un rarissimo sgangherato taxi con 9 persone più una sul tetto in compagnia di un caprone ci porta a Kaies; partiamo che è quasi buio, attraversiamo una interminabile foresta di baobab ancora un po' illuminata da qualche raggio di sole, dopo un rapido controllo ai cheek-point siamo in città che ci appare molto tranquilla, la gente affolla i bar ed i negozi che qui rimangono aperti fino a tardi; a giudicare da come si vive in questi posti pare strano che nella capitale a Bamakò ci sia il coprifuoco! La gente è molto cordiale e raramente parla del recentissimo colpo di stato.
Ci t Tranquillizza il fatto che la vita scorra regolarmente e ci gustiamo il buon pollo arrosto con patatine che ci viene servito non prima però di esserci lavati le mani in un piccolo catino con brocca d'acqua che ci viene offerto a tavola.
Il IIl mattino successivo paghiamo il dazio pur avendo presentato il certificato di esenzione e ripartiamo con un pullman per Dakar per essere puntuali all'aereoporto per il rientro in Italia. Il viaggio è epico perché prendiamo posto fra bambini che piangono, ragazzi che cantano, mamme che allattano, vecchietti sdentati che mangiano un frutto, bagagli un po' dappertutto, finestrini sigillati con aria condizionata non funzionante e temperatura di circa 45 gradi!
Mi sembra di svenire, sono completamente madido di sudore, un passeggero pensa bene di aprire un finestrotto del tetto ed un getto di aria fastidiosa mi colpisce al petto. Tra le mille voci e pianti cerchiamo di prendere sonno ma invano, abbiamo finito le scorte di acqua ed aspettiamo con ansia di arrivare alla frontiera.
Du Durante il soggiorno a Dakar presso l'ambulatorio delle suore avevo visitato una bambina di 6 anni affetta da una grave malformazione cardiaca, alla mamma che mi supplicava ho promesso il mio aiuto. Dopo qualche mese e mille problemi burocratici sono riuscito a farla operare al Gaslini di Genova da un'ottima equipe che le ridà la vita; i colleghi temevano per la sopravvivenza della piccola perché normalmente in Italia questi casi vengono operati entro il primo anno di età. La mia Onlus è riuscita a pagare parte delle spese e sono raggiante quando vedo la piccola camminare e sorridere serena! Pier Luigi
Malì Kaies
Malì Kità: consegna ambulanza
Resoconto del 3 febbraio 2013 a cura di Pier Luigi B, Presidente del CIS.
Il CIS (Cooperazione Italiana Solidarietà) riparte. Acquistata l'ambulanza e caricata di materiale sanitario
insieme a Bruno,Piero e Marzio ci imbarchiamo al porto di Genova e dopo due giorni di ottima navigazione con tempo splendido, anche se freddo (siamo partiti il 12 gennaio!) si arriva a Tangeri, ridente città marocchina sullo stretto di Gibilterra con un nuovissimo e funzionale porto, che ci accoglie la sera con una temperatura mite. Stranamente in meno di un'ora sbrighiamo le pratiche doganali ed iniziamo il viaggio via terra che ci porterà attraverso il Marocco, l'ex Sahara Occidentale, diventato ora una regione del Marocco, la Mauritania, il Senegal fino in Guinea.
Dopo esserci alternati alla guida per quasi l'intera notte in prima mattinata ci godiamo un buon tè alla menta alla periferia di Agadir al termine dell'autostrada. Pranzo al sacco con le ottime provviste di Bruno incaricato del vettovagliamento, mangiamo anche le sue piccole ma saporite mele del Monferrato, purtroppo il vino che ho portato non lo beviamo per la promessa fatta alla partenza di aprirlo solamente al termine del viaggio, eccetto Marzio che su questo punto si rimangia subito la promessa. Pernottamento e cena in un piccolo albergo a Tarfaya ed all'alba si riparte con arrivo in tarda mattinata alla frontiera con la Mauritania. Breve insabbiamento nella critica terra di nessuno ed in serata arriviamo alla missione di padre Jerome a Nouadhibou.
Il mattino successivo Marzio decide di fermarsi per completare le pratiche per un eventuale intervento di neurochirurgia ad una bimba che abbiamo incontrato nella missione e che soffre di una grave malformazione congenita al cervello. Piero cerca di ammutinarsi dicendo che vuole fermarsi ancora lì, ma dopo la mia ferma decisione di ripartire, a malincuore ci segue ed in serata siamo a Nouakchott, capitale della Mauritania, dopo esserci goduti strada facendo, uno stupendo tramonto sul deserto con riflessi dorati a sfumature rosee sulle dune.
Il giorno successivo arriviamo a Rosso, caotica città di confine con il Senegal sul fiume omonimo. Traghettiamo dopo 7-8 ore di attesa ma ormai ci siamo abituati a questi tempi africani. Qualche ora dopo arriviamo a Saint Louis, antica capitale del Senegal di chiaro stampo francese, che conserva un fascino ottocentesco con il ponte in ferro costruito dall'ingegner Eiffel, lo stesso della torre. Ci fermiamo in un albergo dell'epoca coloniale prospiciente il ponte. Ogni oggetto è ricco di storia che ci riporta indietro di 150 anni. Ai muri sono appesi antichi trofei di caccia grossa accanto a quadri che incorniciano ingialliti documenti d'epoca.
Il mattino successivo un buon cappuccino ci rimette subito in sesto per riprendere il viaggio fino a Dakar dove una allegra festa alla missione don Bosco ci rilassa scambiando quattro chiacchiere a tavola con ospiti locali. Non abbiamo neppure il tempo di salutare i numerosi amici senegalesi perché la mattina successiva dobbiamo arrivare alla missione di padre Feliciano a Tambacounda, nell'est del Senegal, pare una delle città più calde del Paese!
All'alba del giorno successivo ripartiamo per la Guinea che raggiungiamo nel primo pomeriggio. L'ambulanza viene fermata alla dogana di Koundara in attesa di informazioni dal Ministero. Il mattino successivo ripartiamo con un doganiere a bordo. L' asfalto termina dopo pochi chilometri e si entra quindi nella foresta con strada sterrata di color rossiccio. Ci separano circa 1000 km dalla capitale Conakry dove dobbiamo arrivare per consegnare l'ambulanza ed il materiale all'ospedale pubblico.
Durante il tragitto incontriamo rarissimi autocarri e dobbiamo aiutare l'autista di un furgone in panne caricandoci le numerose taniche di benzina ed altro materiale. Con quel caldo opprimente nell'ambulanza si avverte solo odore di benzina! Nella notte si arriva a Boké completamente ricoperti da terra rossa, ma contenti per aver potuto tenere un collegamento con una radio di Torino che ci segue nel viaggio grazie all'interessamento di mio fratello Gian Carlo. Nel piccolo albergo l'acqua della doccia scende con il contagocce ma almeno con un po' di pazienza possiamo toglierci tutta la polvere.
Durante il tragitto incontriamo rarissimi autocarri e dobbiamo aiutare l'autista di un furgone in panne caricandoci le numerose taniche di benzina ed altro materiale. Con quel caldo opprimente nell'ambulanza si avverte solo odore di benzina! Nella notte si arriva a Boké completamente ricoperti da terra rossa, ma contenti per aver potuto tenere un collegamento con una radio di Torino che ci segue nel viaggio grazie all'interessamento di mio fratello Gian Carlo. Nel piccolo albergo l'acqua della doccia scende con il contagocce ma almeno con un po' di pazienza possiamo toglierci tutta la polvere.
Il mattino seguente dopo aver attraversato numerosi villaggi, alcuni di mattoni, altri di paglia, arriviamo nella capitale Conakry, che ci sommerge con il suo caos e smog. Lasciamo l'ambulanza in dogana, iniziamo le pratiche per lo sdoganamento ed incontriamo un angelo custode ad un ufficio ministeriale, che ci prende in consegna e non ci molla per due giorni fino al termine della lunga procedura burocratica, che sembra non finire mai.
Rientrati in possesso dell'ambulanza ed opportunamente lavata, la consegniamo al principale ospedale della città. Siamo quindi ricevuti dalla moglie del presidente della Repubblica, che ci ringrazia meravigliata per l'ottimo mezzo. Ci dice che è la prima ambulanza che ricevono.
Il giorno dopo andiamo a vedere un sogno realizzato. Nel cuore della foresta in riva al mare, l'oceano Atlantico, sorge un villaggio di 450 orfani che ricevono un pasto caldo, un'educazione con scuole professionali sia per bambini che bambine e soprattutto tanto amore ed affetto. Riccardo ex orfano e sua moglie Daniela da dieci anni, si sono trasferiti da Brescia qui a Boffa, per realizzare il sogno di Riccardo: restituire quanto ricevuto! Siamo stati due giorni a contatto con questa eccezionale coppia, ed è impossibile non venirne contagiati.
Ho visitato oltre 140 bambini in ottime condizioni di salute. Abbiamo dato loro quanto ci rimaneva del nostro denaro con la promessa, ritornati a casa di concretizzare un aiuto per questi bambini. Il villaggio completamente fatto da volontari italiani, ha un ordine ed una pulizia esemplari: utilizza pannelli solari ed è autonomo in tutto, possiede una barca da pesca, un campo di riso (che però non è sufficiente a sfamare tutti questi voraci bambini!) ed acqua corrente. Al mattino c'è persino l'alzabandiera con tanto di inno.
Ho visitato oltre 140 bambini in ottime condizioni di salute. Abbiamo dato loro quanto ci rimaneva del nostro denaro con la promessa, ritornati a casa di concretizzare un aiuto per questi bambini. Il villaggio completamente fatto da volontari italiani, ha un ordine ed una pulizia esemplari: utilizza pannelli solari ed è autonomo in tutto, possiede una barca da pesca, un campo di riso (che però non è sufficiente a sfamare tutti questi voraci bambini!) ed acqua corrente. Al mattino c'è persino l'alzabandiera con tanto di inno.
Dakar:Il dr.Domenico Fornara dell'Ambasciata italiana |
Da Wikinotizie
Viaggio umanitario del CIS in Senegal e Mali
Viaggio umanitario del CIS in Senegal e Mali
18 Maggio 2012
Senegal: Gorè isola degli schiavi |
Dakar partenza con l'ambulanza |
Dakar: insegnamento del Corano |
Il Il viaggio per portare un'ambulanza all'ospedale di Kità in Malì è terminato e siamo rientrati a casa, Carlo, Piero ed io eravamo partiti a fine Aprile dopo un ennesimo rinvio per il colpo di stato ma avevamo deciso di fermarci alla dogana e di consegnare il mezzo a Yacouba, l'amico maliano che l'avrebbe guidata fino a Kità. Sdoganata l'ambulanza al porto di Dakar in Senegal comincia qui il viaggio via terra attraverso una delle zone più suggestive di questo bellissimo stato africano che pur tra mille problemi sembra non abbia dimenticato la voglia di vivere e divertirsi. In spiaggia tantissimi giovani praticano sport e non ti infastidiscono minimamente, dell'Italia ricordano il nome delle squadre più famose; per le strade è rarissimo incontrare coppie di giovani in atteggiamenti disinvolti come è raro vedere fumatori.
La capitale Dakar è immersa in un traffico caotico con una miriade di taxi giallo neri quasi tutti con la carrozzeria ricoperta da bolli. I salesiani come sempre sono contenti di ospitarci e partecipiamo alla festa di don Bosco.
Lu Lungo la strada che attraversa da ovest a est il Paese si incontra una moltitudine di gente a qualsiasi ora che cammina portando con sé qualche piccolo ortaggio o frutta da vendere al mercato. Siamo colpiti dal desolante spettacolo dei “bambini di strada” che i genitori affidano ad un precettore per l'insegnamento dell'Islam ma che in alcuni casi non si interessa neppure di procurar loro vitto ed alloggio.
Dopo un breve pernottamento dai salesiani di Tambacounda ci dirigiamo al confine con il Malì con apprensione perché abbiamo notizie di continui scontri fra i governativi e le truppe di guerriglieri che stanno poco per volta conquistando tutto il nord del Malì seminando terrore fra la popolazione; si parla di distruzioni di scuole, ospedali, chiese e strade.
A Arrivati di prima mattina alla dogana ci rendiamo subito conto che nonostante tutto c'è una lunga fila di camion in attesa di essere sdoganati, incontriamo l'amico Yacouba ma dopo le prime ore di attesa ci viene detto che per pagare il dazio per importare il mezzo dobbiamo arrivare alla prima città (Kaies) oltre 100 km dalla frontiera, non c'è molto da scegliere e decidiamo di entrare nel Paese ma senza l'ambulanza che ci viene sequestrata in attesa del pagamento.
Do Dopo qualche ora di attesa, un rarissimo sgangherato taxi con 9 persone più una sul tetto in compagnia di un caprone ci porta a Kaies; partiamo che è quasi buio, attraversiamo una interminabile foresta di baobab ancora un po' illuminata da qualche raggio di sole, dopo un rapido controllo ai cheek-point siamo in città che ci appare molto tranquilla, la gente affolla i bar ed i negozi che qui rimangono aperti fino a tardi; a giudicare da come si vive in questi posti pare strano che nella capitale a Bamakò ci sia il coprifuoco! La gente è molto cordiale e raramente parla del recentissimo colpo di stato.
Ci t Tranquillizza il fatto che la vita scorra regolarmente e ci gustiamo il buon pollo arrosto con patatine che ci viene servito non prima però di esserci lavati le mani in un piccolo catino con brocca d'acqua che ci viene offerto a tavola.
Il IIl mattino successivo paghiamo il dazio pur avendo presentato il certificato di esenzione e ripartiamo con un pullman per Dakar per essere puntuali all'aereoporto per il rientro in Italia. Il viaggio è epico perché prendiamo posto fra bambini che piangono, ragazzi che cantano, mamme che allattano, vecchietti sdentati che mangiano un frutto, bagagli un po' dappertutto, finestrini sigillati con aria condizionata non funzionante e temperatura di circa 45 gradi!
Mi sembra di svenire, sono completamente madido di sudore, un passeggero pensa bene di aprire un finestrotto del tetto ed un getto di aria fastidiosa mi colpisce al petto. Tra le mille voci e pianti cerchiamo di prendere sonno ma invano, abbiamo finito le scorte di acqua ed aspettiamo con ansia di arrivare alla frontiera.
Mi sembra di svenire, sono completamente madido di sudore, un passeggero pensa bene di aprire un finestrotto del tetto ed un getto di aria fastidiosa mi colpisce al petto. Tra le mille voci e pianti cerchiamo di prendere sonno ma invano, abbiamo finito le scorte di acqua ed aspettiamo con ansia di arrivare alla frontiera.
Du Durante il soggiorno a Dakar presso l'ambulatorio delle suore avevo visitato una bambina di 6 anni affetta da una grave malformazione cardiaca, alla mamma che mi supplicava ho promesso il mio aiuto. Dopo qualche mese e mille problemi burocratici sono riuscito a farla operare al Gaslini di Genova da un'ottima equipe che le ridà la vita; i colleghi temevano per la sopravvivenza della piccola perché normalmente in Italia questi casi vengono operati entro il primo anno di età. La mia Onlus è riuscita a pagare parte delle spese e sono raggiante quando vedo la piccola camminare e sorridere serena! Pier Luigi
Malì Kaies |
Malì Kità: consegna ambulanza |
Viaggio umanitario del C.I.S.S. in Sudan
Da Wikinotizie, le notizie a contenuto aperto
mercoledì 9 maggio 2008
Da Alessandria d'Egitto, storica città nota anche per la sua antica biblioteca riedificata in stile ultramoderno, è iniziato il viaggio via terra della ONLUS C.I.S.S. (Cooperazione internazionale solidarietà sanitaria) con il compito di portare materiale sanitario ad un ospedale del Sudan dove la situazione sanitaria è molto carente è la mortalità infantile elevata.
Il gruppo era formato da Pier Luigi Bertola, suo fratello Gian Carlo e da Piero Sburlati di Monastero Bormida. L'arrivo non è stato facile: alla dogana egiziana sono state richieste ingenti tasse per il carico arrivato da Genova. Per raggiungere Assuan, distante
In Egitto la vita si svolge prevalentemente lungo il Nilo, dove si vedono carretti trainati da sparuti asinelli che trasportano patate, cipolle od insalata. La suggestione è notevole perché dopo le piramidi di Giza il paesaggio è arricchito da case di fango che si alternano a palme lungo il greto del fiume che regala sovente orti ben coltivati, fiori e prati verdi. Poco più in là comincia il deserto che, seppur attraversato da belle strade asfaltate sovente illuminate, rappresenta un'incognita.
Poco dopo Quena il viaggio diviene quasi impossibile con numerosissimi posti di blocco controllati da militari pignoli all’inverosimile e molto esigenti. Il funzionario cerca di fare il possibile per ridurre i numerosi pedaggi. La compagnia arriva quindi a Luxor, che riesce sempre ad abbagliare i visitatori con l’imponenza dei suoi templi, in particolare quelli della valle dei Re ed il tempio di Karnak, che domina la pianura con le sue possenti colonne ingentilite da palme ed incisioni.
Si giunge quindi ad Assuan con la grandiosa diga sul Nilo che ha creato il lago Nasser lungo oltre 300 km , la cui propaggine meridionale entra in Sudan. I maestosi templi di Abu Simbel sono stati spostati di oltre 5 km per evitare che fossero sommersi dal fiume. La frontiera di terra fra Egitto e Sudan è inesistente, l’unico modo di entrare in Sudan via terra è utilizzare il traghetto che parte ogni lunedì sera da Assuan e che dopo 19 ore circa arriva in Sudan: i veicoli devono essere imbarcarli sopra una chiatta che arriva il giorno dopo.
Il viaggio sul traghetto è stato duro e probabilmente il viaggiatore prova una sensazione simile a quella dei clandestini, stipati su gommoni verso Lampedusa. Sul traghetto sono presenti anche dei turchi, due tedeschi e una ragazza giapponese.
Il viaggio sul traghetto è stato duro e probabilmente il viaggiatore prova una sensazione simile a quella dei clandestini, stipati su gommoni verso Lampedusa. Sul traghetto sono presenti anche dei turchi, due tedeschi e una ragazza giapponese.
Recuperato il furgone si entra a Wadi Halfa dove c’è pure una vecchia stazione ferroviaria ancora attiva se pur in modo discontinuo che fa ricordare quelle sperdute nel Far West. Gli abitanti si prodigano a rendere gradevole il soggiorno e si nota subito una cortesia particolare con mite gentilezza. Anche qui tutte le donne portano il velo mentre gli uomini indossano il caffettano. Da qui in poi diventa molto difficile filmare e fotografare. Il cibo in Sudan è simile a quello egiziano ed anche qui è proibito l’alcool come anche la semplice birra. Il gruppo del C.I.S.S. aveva anche 30 litri di vino da regalare con sé: i doganieri, tuttavia, una volta trovato e sequestrato il vino, hanno accettato di scambiarlo con farmaci, ma no prima di averlo assaggiato.
Pista nel deserto |
I compagni turchi dicono di conoscere bene la strada, ma il ragazzo e la ragazza tedeschi conosciuti sul traghetto preferiscono coprire con le loro moto pochi chilometri al giorno e visitare meglio il posto ricchissimo di piramidi e tombe di faraoni; i due sono partiti da Stoccarda ed intendono arrivare in moto fino a Città del Capo. La ragazza giapponese non ha problemi di tempo perché è già da alcuni mesi che sta facendo il giro del mondo e se la prende comoda.
I primi 400 km di piste si rilevano subito un percorso infernale, non solamente per la temperatura oltre 57 gradi, ma soprattutto per le condizioni della pista: la carovana si è insabbiata più volte, e di notte con il vento sferzante e la temperatura scesa a 15 gradi è molto difficile disincagliare un furgone con i suoi 35 quintali. Avendo perso la direzione, viene decisa una sosta fino all’alba per andare alla ricerca della giusta via. L’ansia aumenta, non si vede nessuno per diverse ore, non c’è alcun punto di riferimento, e qualcuno mostra di non apprezzare l’uso del GPS in dotazione al C.I.S.S., confidando invece nella sola esperienza.
Ritrovato finalmente l’asfalto, la situazione migliora: nonostante l'avviso che sulla strada erano sparsi numerosi posti di blocco, la carovana ne incrocia pochi, e non viene mai fermata. I militari si dimostrano molto gentili ed affabili, e non chiedono nulla. Dopo oltre 32 ore di viaggio arriviamo a Khartum, capitale del Sudan, dove la carovana viene accolti dai salesiani, che offrono un buon pasto ai volontari. Finalmente è possibile anche fare un buon bagno per togliere la polvere rossa che sembra entrare persino nelle ossa.
Il giorno successivo, scaricato il materiale oggetto della missione e visitata l'ambasciata italiana, il gruppo viene invitato per la cena dal nunzio apostolico. Intanto prosegue la missione umanitaria, con visite a scuole e campi profughi. Dopo pochi giorni è tempo di programmare il ritorno: dopo avere portato il furgone a Port Sudan sul mar Rosso per l’imbarco, è tempo di ripartire.
Il viaggio verso il mar Rosso dura 27 ore e1 200 km , attraverso una delle zone più suggestive per la bellezza dei luoghi (vicini all’Eritrea ed all’Etiopia), la gentilezza delle popolazioni, la tipologia delle abitazioni che cambiano stile continuamente, e specie per il sorriso dei bambini che gettano terra sulle numerose buche della strada in cambio di un po’ di cibo. I cammelli non si contano e sovente formano una lunga fila.
Il viaggio verso il mar Rosso dura 27 ore e
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Un villaggio sudanese | Deserto sudanese | Alcune piramidi | |
Uno degli insabbiamenti | Presso i comboniani | Foto di gruppo all'ambasciata |
Viaggio umanitario del C.I.S.S. in Libano
Da Wikinotizie, le notizie a contenuto aperto
giovedì 31 maggio 2007
Beirut est |
Partiti da Canelli (AT) con un furgone Iveco della concessionaria Garelli di Asti grazie all'interessamento del dott. Franco Oriolo, dirigente Iveco a Torino, dopo una breve sosta a Taranto per un ulteriore carico ci siamo imbarcati a Brindisi per Igoumenitsa in Grecia dopo aver pagato una onerosa somma per il furgone. Attraversata la Grecia in circa 16 ore siamo arrivati alla frontiera turca dove abbiamo dovuto ugualmente versare una non indifferente cauzione per il carico.
Dopo 22 ore di viaggio ininterrotto siamo arrivati al confine turco-siriano e rimandati indietro per la chiusura della dogana. Antiochia in Turchia conserva sempre un suo fascino particolare abbarbicata come è sul fianco di ardite montagne rocciose. Altra cauzione onerosa in Siria con strane supertasse per i possessori di motori diesel. Nel primo pomeriggio entriamo nel magico paesaggio orientale con le dune desertiche dipinte di rosa ed i monumentali ritratti dell'attuale presidente e del padre, la gente però non sembra farci caso. Si nota una cordialità diffusa con molteplici segni di simpatia e gentilezza, molti i punti internet e le ragazze con il velo non sono molto frequenti.
Dopo 22 ore di viaggio ininterrotto siamo arrivati al confine turco-siriano e rimandati indietro per la chiusura della dogana. Antiochia in Turchia conserva sempre un suo fascino particolare abbarbicata come è sul fianco di ardite montagne rocciose. Altra cauzione onerosa in Siria con strane supertasse per i possessori di motori diesel. Nel primo pomeriggio entriamo nel magico paesaggio orientale con le dune desertiche dipinte di rosa ed i monumentali ritratti dell'attuale presidente e del padre, la gente però non sembra farci caso. Si nota una cordialità diffusa con molteplici segni di simpatia e gentilezza, molti i punti internet e le ragazze con il velo non sono molto frequenti.
Purtroppo per questioni doganali per noi incomprensibili appena entrati in Siria abbiamo ricevuto una scorta armata che ci ha accompagnati direttamente alla frontiera libanese raggiunta verso le ore 24, anche qui per chiusura degli uffici abbiamo dovuto pernottare in dogana sul furgone aiutati molto dall'ospitalità del personale doganale gentile all'inverosimile.In tarda mattinata siamo entrati a Beirut sud dove sono molto visibili i segni dell'ultimo bombardamento israeliano con notevoli case distrutte, i ponti tutti inservibili e molte strade con enormi voragini causate da bombe.
Una parte della popolazione dei quartieri orientali della città ci è subito sembrata ostile. I 3 giorni successivi sono trascorsi visitando ospedali e centri della salute nel sud del Libano dove abbiamo fatto base a Tiro bellissima città balneare con numerosi resti romani. I soldati dell'UNIFIL sono ovunque e per arrivare qui i posti di blocco non si contano, e alcuni di questi sono controllati dalle forze Hezbollah. Notiamo un'ottima assistenza dei paz, specie se indigenti per la gratuità dei servizi medicine incluse. Qualche ospedale è stato anche donato da alcuni stati arabi come l'Iran, il Kuwait e l'Arabia Saudita.
Non c'è nessun aiuto visibile da parte dei paesi occidentali anche se i nostri amici libanesi ripetono che l'Europa coopera per progetti sanitari e sociali. Simpatica la visita al nostro contingente di stanza a sud di Tiro con momenti toccanti. Molto più drammatica la visita poco dopo di un campo profughi che ospita oltre 10 000 persone con l'accesso alle strade sbarrato.
Nel ritorno a Beirut purtroppo abbiamo assistito ad una sparatoria nel quartiere dove eravamo ospiti per cui ci è stato vivamente consigliato di non uscire di casa per tutta la permanenza in città. Durante il viaggio compiuto con Vincenzo Leone, cardiologo a Taranto, Guido Imanon, manager marketing a Torino e mio fratello Gian Carlo, abbiamo tenuto 5 collegamenti in diretta con Radio Veronica One di Torino.
Tutti gli obiettivi posti sono stati raggiunti riuscendo a scaricare nell'ospedale pubblico di Tiro presso l'associazione volontaria di assistenza sanitaria il materiale consistente in 2 apparecchi radiologici portatili completi, un defibrillatore, una centrifuga, una lampada scialitica per sala operatoria, 9 computer, 8 carrozzelle e numerosi farmaci. Se non avessimo guidato ininterrottamente giorno e notte non avremmo potuto farcela nel tempo stabilito di 14 giorni.
Tutti gli obiettivi posti sono stati raggiunti riuscendo a scaricare nell'ospedale pubblico di Tiro presso l'associazione volontaria di assistenza sanitaria il materiale consistente in 2 apparecchi radiologici portatili completi, un defibrillatore, una centrifuga, una lampada scialitica per sala operatoria, 9 computer, 8 carrozzelle e numerosi farmaci. Se non avessimo guidato ininterrottamente giorno e notte non avremmo potuto farcela nel tempo stabilito di 14 giorni.
Viaggio umanitario del C.I.S.S. in Eritrea
Da Wikinotizie, le notizie a contenuto aperto
domenica 19 settembre 2010
Quest’anno la Onlus Cooperazione Internazionale Solidarietà Sanitaria (C.I.S.S.) ha effettuato un viaggio umanitario in Sudan ed Eritrea per trasportare materiale sanitario proveniente dall’ex ospedale di Asti per un ospedale eritreo.
La spedizione africana inizia a Khartoum in Sudan, presso l’ospedale Emergency “Salam” di Gino Strada, struttura decisamente all’avanguardia sul territorio. Pur trovandosi molto distante dal centro, in una zona periferica a sud della capitale, l’ospedale meraviglia per le soluzioni ultramoderne che permettono le attività sanitarie nel rispetto dell’ambiente.
Pannelli solari attivano un sistema di filtraggio e raffreddamento dell’aria polverosa del deserto, e tecnologie simili permettono lo svolgimento di delicate operazioni chirurgiche, ad esempio una sostituzione valvolare con circolazione extracorporea, intervento fra i più difficili, eppure, anche in Africa, dove pure le emergenze mediche sono all’ordine del giorno, si ritrova la medesima professionalità che nei Paesi sviluppati.
Pochi giorni dopo avviene la partenza per l’Eritrea: il viaggio è sconsigliato dalle autorità, specialmente nel tragitto che proprio dal Sudan porta all’Eritrea, via terra, tuttavia le persone come anche i militari si rivelano essere gentili e cordiali fino alla frontiera.
L’attraversamento dei confini si rivela difficoltoso sia per il caldo sia per le infinite discussioni con le polizia di frontiera: l’arrivo sul suolo eritreo non è avvenuto che a notte calata, quando le strade sono chiuse, e pertanto è stato necessario fare una sosta nella cittadina di Tesseney, dove, sorprendentemente, è possibile trovare bar in cui si vende birra e che fungono da ritrovo per i giovani.
Al mattino si riparte in direzione di Asmara con un minipullman. Le difficoltà burocratiche, tuttavia, non sono finite: a Barentù la spedizione è fermata ad un posto di blocco per diverse ore, prima di ricevere il visto per dirigersi finalmente ad Asmara. Le infrastrutture come strade, ferrovie e teleferica si rivelano essere quelle italiane, certo vecchie di decenni, ma tuttavia ancora funzionali.
Asmara si trova a circa 2400 metri sul livello del mare, ed è necessario che i pullman salgano la montagna. La scalata rivela una grande ricchezza di villaggi con casette in muratura e tetto in paglia, fiori multicolori ed allevamenti di capre, pecore, qualche cammello ed i consueti asinelli che tirano i carretti guidati da ragazzi, trasportando sacchetti di farina o cipolle rosse.
Non mancano animali meno domestici, come i babbuini che sono spesso un ostacolo per le vetture. Anche la flora si rivela affascinante: gli eucalipti si alternano alle palme ed ai cactus giganti. Man mano che si sale, infatti, si perdono le temperature desertiche in favore di altre più primaverili.
L’arrivo ad Asmara avviene al calare della notte, fra bellissimi alberi ricoperti di fiori azzurri. Il mattino successivo la spedizione riesce anche a trovare un po’ di Italia rimasta in Eritrea: nel centro di Asmara c’è un bar chiamato “Impero” dove è possibile fare colazione con cappuccino e brioche.
Non mancano neppure italiani, sia pure d’origine: un sarto di nome Giovanni Mazzola si è offerto di aiutarci a sbrigare le pratiche burocratiche che si riveleranno essere piuttosto complicate: infatti il Ministero della Salute ha bloccato il furgone della Iveco di Asti con gli aiuti al porto di Massawa.
Sono difficili gli spostamenti in Eritrea: non è possibile uscire da Asmara senza un permesso delle autorità, che viene consegnato solitamente dopo dieci giorni per i locali e ventiquattro ore per i turisti. Nonostante la burocrazia, però, è possibile trovare autentici gioielli dello sviluppo, come la scuola professionale di Dekemhare, gestita dai salesiani.
Due giorni dopo è la volta di Massawa, nel tentativo di sbloccare il furgone carico di materiale. La città riserva un’accoglienza fiabesca grazie ad i suoi edifici storici, ma la realtà si rivela essere più complicata: il carico imbarcato a Genova dalla compagnia di navigazione di Ignazio Messina cinquanta giorni prima della partenza non è ancora pronto per essere sbloccato e quindi utilizzato.
Il ritorno ad Asmara è più piacevole: presso la casa degli italiani, che è anche sede ANA, è possibile sia per gli italiani che per i locali godere di un po' d’Italia. È possibile ad esempio trovare una trattoria dove si possono mangiare deliziosi spaghetti al dente. L’ospitalità è ricambiata da una sincera ammirazione verso gli italiani, in particolare gli alpini, che si sono spesso contraddistinti per gli aiuti concreti e lo spirito umanitario che li contraddistingue al di là dell’immagine folkloristica ed un po’ guascone che spesso con essi si confonde.
Pochi giorni dopo il carico di strumenti sanitari, che comprende fra l’altro delle lampade per la sala operatoria dell’ex-ospedale di Asti, viene sbloccato ed è possibile completare la missione consegnando il tutto all’ospedale Orotta di Asmara. La spedizione ha anche concluso un gemellaggio fra l’ospedale Massaia di Asti e quello Orotta di Asmara grazie all’accordo con il direttore generale degli ospedali eritrei dottor Weldu.
Da Wikinotizie, le notizie a contenuto aperto
domenica 19 settembre 2010
Quest’anno la Onlus Cooperazione Internazionale Solidarietà Sanitaria (C.I.S.S.) ha effettuato un viaggio umanitario in Sudan ed Eritrea per trasportare materiale sanitario proveniente dall’ex ospedale di Asti per un ospedale eritreo.
La spedizione africana inizia a Khartoum in Sudan, presso l’ospedale Emergency “Salam” di Gino Strada, struttura decisamente all’avanguardia sul territorio. Pur trovandosi molto distante dal centro, in una zona periferica a sud della capitale, l’ospedale meraviglia per le soluzioni ultramoderne che permettono le attività sanitarie nel rispetto dell’ambiente.
Pannelli solari attivano un sistema di filtraggio e raffreddamento dell’aria polverosa del deserto, e tecnologie simili permettono lo svolgimento di delicate operazioni chirurgiche, ad esempio una sostituzione valvolare con circolazione extracorporea, intervento fra i più difficili, eppure, anche in Africa, dove pure le emergenze mediche sono all’ordine del giorno, si ritrova la medesima professionalità che nei Paesi sviluppati.
Pochi giorni dopo avviene la partenza per l’Eritrea: il viaggio è sconsigliato dalle autorità, specialmente nel tragitto che proprio dal Sudan porta all’Eritrea, via terra, tuttavia le persone come anche i militari si rivelano essere gentili e cordiali fino alla frontiera.
L’attraversamento dei confini si rivela difficoltoso sia per il caldo sia per le infinite discussioni con le polizia di frontiera: l’arrivo sul suolo eritreo non è avvenuto che a notte calata, quando le strade sono chiuse, e pertanto è stato necessario fare una sosta nella cittadina di Tesseney, dove, sorprendentemente, è possibile trovare bar in cui si vende birra e che fungono da ritrovo per i giovani.
L’attraversamento dei confini si rivela difficoltoso sia per il caldo sia per le infinite discussioni con le polizia di frontiera: l’arrivo sul suolo eritreo non è avvenuto che a notte calata, quando le strade sono chiuse, e pertanto è stato necessario fare una sosta nella cittadina di Tesseney, dove, sorprendentemente, è possibile trovare bar in cui si vende birra e che fungono da ritrovo per i giovani.
Al mattino si riparte in direzione di Asmara con un minipullman. Le difficoltà burocratiche, tuttavia, non sono finite: a Barentù la spedizione è fermata ad un posto di blocco per diverse ore, prima di ricevere il visto per dirigersi finalmente ad Asmara. Le infrastrutture come strade, ferrovie e teleferica si rivelano essere quelle italiane, certo vecchie di decenni, ma tuttavia ancora funzionali.
Asmara si trova a circa 2400 metri sul livello del mare, ed è necessario che i pullman salgano la montagna. La scalata rivela una grande ricchezza di villaggi con casette in muratura e tetto in paglia, fiori multicolori ed allevamenti di capre, pecore, qualche cammello ed i consueti asinelli che tirano i carretti guidati da ragazzi, trasportando sacchetti di farina o cipolle rosse.
Non mancano animali meno domestici, come i babbuini che sono spesso un ostacolo per le vetture. Anche la flora si rivela affascinante: gli eucalipti si alternano alle palme ed ai cactus giganti. Man mano che si sale, infatti, si perdono le temperature desertiche in favore di altre più primaverili.
Non mancano animali meno domestici, come i babbuini che sono spesso un ostacolo per le vetture. Anche la flora si rivela affascinante: gli eucalipti si alternano alle palme ed ai cactus giganti. Man mano che si sale, infatti, si perdono le temperature desertiche in favore di altre più primaverili.
L’arrivo ad Asmara avviene al calare della notte, fra bellissimi alberi ricoperti di fiori azzurri. Il mattino successivo la spedizione riesce anche a trovare un po’ di Italia rimasta in Eritrea: nel centro di Asmara c’è un bar chiamato “Impero” dove è possibile fare colazione con cappuccino e brioche.
Non mancano neppure italiani, sia pure d’origine: un sarto di nome Giovanni Mazzola si è offerto di aiutarci a sbrigare le pratiche burocratiche che si riveleranno essere piuttosto complicate: infatti il Ministero della Salute ha bloccato il furgone della Iveco di Asti con gli aiuti al porto di Massawa.
Non mancano neppure italiani, sia pure d’origine: un sarto di nome Giovanni Mazzola si è offerto di aiutarci a sbrigare le pratiche burocratiche che si riveleranno essere piuttosto complicate: infatti il Ministero della Salute ha bloccato il furgone della Iveco di Asti con gli aiuti al porto di Massawa.
Sono difficili gli spostamenti in Eritrea: non è possibile uscire da Asmara senza un permesso delle autorità, che viene consegnato solitamente dopo dieci giorni per i locali e ventiquattro ore per i turisti. Nonostante la burocrazia, però, è possibile trovare autentici gioielli dello sviluppo, come la scuola professionale di Dekemhare, gestita dai salesiani.
Due giorni dopo è la volta di Massawa, nel tentativo di sbloccare il furgone carico di materiale. La città riserva un’accoglienza fiabesca grazie ad i suoi edifici storici, ma la realtà si rivela essere più complicata: il carico imbarcato a Genova dalla compagnia di navigazione di Ignazio Messina cinquanta giorni prima della partenza non è ancora pronto per essere sbloccato e quindi utilizzato.
Il ritorno ad Asmara è più piacevole: presso la casa degli italiani, che è anche sede ANA, è possibile sia per gli italiani che per i locali godere di un po' d’Italia. È possibile ad esempio trovare una trattoria dove si possono mangiare deliziosi spaghetti al dente. L’ospitalità è ricambiata da una sincera ammirazione verso gli italiani, in particolare gli alpini, che si sono spesso contraddistinti per gli aiuti concreti e lo spirito umanitario che li contraddistingue al di là dell’immagine folkloristica ed un po’ guascone che spesso con essi si confonde.
Pochi giorni dopo il carico di strumenti sanitari, che comprende fra l’altro delle lampade per la sala operatoria dell’ex-ospedale di Asti, viene sbloccato ed è possibile completare la missione consegnando il tutto all’ospedale Orotta di Asmara. La spedizione ha anche concluso un gemellaggio fra l’ospedale Massaia di Asti e quello Orotta di Asmara grazie all’accordo con il direttore generale degli ospedali eritrei dottor Weldu.
Strada per Asmara |
Dekemhare scuola salesiana |
Eritrea |
Massawa il porto |
Massawa |
Asmara |
Massawa |
Viaggio umanitario del CISS in Georgia
Da Wikinotizie, le notizie a contenuto aperto
2 Aprile 2009
Da Canelli (At) a Tbilisi, capitale della Georgia ci separano 4200 km coperti in circa tre giorni di viaggio con furgone Daily Iveco grazie alla concessionaria Garelli di Asti ed al lavoro del ragionier Franco Bodriti senza il cui aiuto non si sarebbe potuto fare il viaggio. Siamo in 3 mio fratello Gian Carlo, Gino Boido ed io presidente della onlus CISS (Cooperazione internazionale solidarietà sanitaria), il nostro scopo era di portare aiuti umanitari cioè coperte, stufette elettriche e materiale sanitario ai campi profughi della Ossezia del sud attualmente stanziatisi in Georgia dopo la guerra con
L’attraversamento delle dogane è sempre una incognita anche in Europa, ma per evitare di correre rischi decidiamo di attraversare
Nessun problema in Bulgaria anche perché i doganieri slavi sono molto sensibili al vino che abbiamo portato per l’occorrenza. Dalla Turchia dopo le formalità di rito e la solita cauzione che ci viene poi restituita all’ uscita, entriamo in Georgia dove il carico ci viene piombato fino a Tbilisi. Sulla via però veniamo tamponati da un mezzo dell’esercito, che ci piomba addosso ad una velocità pazzesca. Ci consigliano di ripartire, è meglio che ognuno paghi i propri danni! Purtroppo poi a Tbilisi ci viene chiesto di pagare l’oneroso dazio.
Qui
In effetti tutta la città è come paralizzata da tantissima gente, polizia ed esercito ovunque, per fortuna non succede nulla ma i manifestanti decidono di presidiare la zona dei ministeri. Il giorno successivo visitiamo i campi profughi con oltre 120.000 persone. Sono tutti ospitati in casette prefabbricate di cemento, umide, con il bagno fuori costruite a Ottobre per l’emergenza. Gori, città natale di Stalin, con un bel museo, non ha più alcun segno del passato bombardamento, mentre la visita in Ossezia del sud è vietata, perché attualmente la zona è controllata dai soldati russi.
Le grandi città hanno numerosi quartieri costruiti dal precedente regime ed in evidente sfascio, tantissime persone anziane vendono ogni cosa nel loro piccolo tavolino, persino le maglie di lana che con pazienza riescono ancora a fare a mano; il costo della vita è quasi uguale al nostro, quando invece lo stipendio di un operaio è 150 euro e la pensione di circa 70. E’ impressionante come i costi di frutta e verdura siano identici ai nostri, ma le auto più piccole sono mercedes od audi, di terza o quarta mano!
La popolazione è molto fiera di essere Georgiana, il cui alfabeto mi fanno notare, non è cirillico ma georgiano (infatti è molto diverso). Purtroppo come in tanti paese del blocco sovietico o nordici, anche qui la piaga è l’alcoolismo; numerose sono le fabbriche dismesse, fa un certo effetto vedere chilometri di fabbriche completamente abbandonate con i vetri rotti ed i materiali arrugginiti. Gli anziani preferivano senz’altro vivere sotto il regime comunista perché dicono, avevano assicurati il lavoro, la scuola, la casa, la salute ed anche le ferie al mare 15 giorni pagati dallo stato, mentre oggi ancor dopo l’ultima crisi finanziaria, la qualità di vita è precipitata in un abisso da cui non sanno come uscirne.
L'ingresso a Tbilisi della missione |
Un campo profughi nei pressi di Gori |
La mensa della Caritas a Tbilisi |
Lo scarico dei materiali a Tbilisi |
Tbilisi :Il gruppo nella sede Caritas con Padre Witold e segretaria . |
Georgia 214
|
Georgia 2009 Campi profughi dall'Ossezia
Georgia 2009 Tbilisi (capitale)
Viaggio umanitario del C.I.S.S. in Mauritania
Da Wikinotizie, le notizie a contenuto aperto
Nel 2011 la Onlus C.I.S.S. (Cooperazione internazionale solidarietà sanitaria) di Canelli ha portato all’ospedale di Nouadhibou in Mauritania due tonnellate di materiale sanitario, fra cui due lampade sialitiche dell’ex ospedale di Asti, farmaci ed un’ambulanza.
La spedizione, da Canelli, è giunta in Spagna dopo 2000 km di viaggio senza sosta notturna, da dove sarebbe poi partita per Tangeri, in Marocco. Come spesso è avvenuto per altri viaggi umanitari in passato, anche in questo caso vi sono stati problemi e intoppi burocratici alla dogana di destinazione. Ciò nonostante, non è impossibile poter godere del paesaggio marocchino che, a dispetto di quanti ci si potrebbe aspettare per un Paese che si affaccia sul Sahara, vede la parte occidentale piena di verde e corsi d’acqua, mentre le montagne dell’Atlante sono addirittura ammantate di neve.
Il paesaggio, tuttavia, presto cambia radicalmente: dopo una sosta a Rabat e a Tiznit, il viaggio passa nella zona del Sahara Occidentale occupata dal Marocco. Qui, infatti, il panorama alterna savane dai colori rossastri a colori violetti o completamente bianchi, la sabbia è ovunque ed in alcuni tratti di strada è molto difficile procedere, perché ha invaso l’intera carreggiata per il forte vento ed in alcuni punti è possibile rimanere insabbiati.
Inoltre la presenza del fronte Polisario contribuisce ad accrescere la tensione. Per questi motivi si decide di procedere in fretta per quella zona: nel caso si finisse insabbiati, la cittadina più vicina da raggiungere risulta lontana centinaia di chilometri. Si tratta di percorrere 1500 km, sulla vecchia tratta della Parigi-Dakar, i più difficili di tutto il viaggio, sotto un sole implacabile e con innumerevoli posti di blocco con militari gentili ma spesso troppo pretenziosi.
Inoltre la presenza del fronte Polisario contribuisce ad accrescere la tensione. Per questi motivi si decide di procedere in fretta per quella zona: nel caso si finisse insabbiati, la cittadina più vicina da raggiungere risulta lontana centinaia di chilometri. Si tratta di percorrere 1500 km, sulla vecchia tratta della Parigi-Dakar, i più difficili di tutto il viaggio, sotto un sole implacabile e con innumerevoli posti di blocco con militari gentili ma spesso troppo pretenziosi.
La spedizione arriva quindi a Layounne e Tan-Tan, con tutto il loro fascino dell’Oriente: la prima completamente rossa mentre l’altra di un azzurro tenue. La gente è sempre cordiale e gentile, compresi poliziotti e gendarmi.
Si prosegue quindi verso il confine mauritano. Il traffico è più scorrevole per l’assenza di camion e roulotte, mentre alla destra l’Oceano alterna viste simili al mare Adriatico italiano a luoghi con bellissime coste rocciose. Negli ultimi 460 km non si incontra più alcun villaggio e le pompe di benzina sono sempre più rare.
Il passaggio dal Marocco alla Mauritania è una delle zone più pericolose da sorpassare, non solo per via della sabbia, ma anche per la presenza di campi minati e di banditi con il “vizio” del sequestro. Per tale motivo appena entrati in Mauritania (dopo le solite lungaggini doganali), i membri del CISS decidono di prendere a bordo una guida.
Il viaggio quindi prosegue nella Mauritania inoltrata. Lungo la strada verso la città è possibile scorgere il famoso treno merci del ferro lungo oltre 2,500 km, una delle attrattive della Mauritania con un viaggio epico di oltre 24 ore.
Il giorno seguente si giunge finalmente a Nouadhibou, presso il cui ospedale viene scaricato il materiale, ambulanza compresa, la prima per questo nosocomio, in cui abbondano le attrezzature rotte o prive di pezzi di ricambio. Segue una visita alla locale missione cattolica di padre Jerome, cui il CISS dona denaro per potere rifornire di farmaci l’infermeria.
Anche questa volta il CISS ha compiuto la propria missione umanitaria per aiutare bambini, donne e uomini della Mauritania, e, fra i loro sorrisi e saluti, si riprende la strada verso casa.
Nouadhibou |
Viaggio umanitario
del CIS in Etiopia-Sudan
Da Wikinotizie
Il giorno 8 febbraio 2015 siamo a Genova
all’aeroporto; Lucio, primario cardiochirurgo al Gaslini, Piero ed io andiamo a Gibuti a sdoganare l’ambulanza donataci dalla Croce Verde di Nizza
M.to, su cui ho caricato un ecocardiografo, due defibrillatori, diverso
materiale monouso per sala operatoria, un centinaio di scarpe nuove per il centro
dei bambini di strada dei salesiani di Addis Abeba e le solite bottiglie di
vino da omaggiare a tutti quelli che ci hanno aiutato. Guideremo il mezzo da
Gibuti all’ospedale di Debrè Birhan in Etiopia come da accordi con le autorità
etiopi.
Gibuti Città
.
Gibuti è una città affascinate, dall’ aspetto coloniale
francese con begli edifici decadenti di fine ottocento, troviamo molti militari
europei, l’impronta africana si mescola a quella occidentale, qui anche gli
alcoolici nei locali pubblici sono permessi, le ragazze indossano jeans
attillati e le donne con il velo sono una rarità.
Prima amara sorpresa: al porto ci dicono che il mezzo
non ci verrà consegnato, perché le pratiche per ottenere l’esenzione dal dazio
iniziate mesi fa, non sono ancora ultimate, dovremmo raggiungere Addis Abeba e
Khartoum con mezzi propri. Ultimate le pratiche doganali, il mezzo verrà portato
all'ospedale da personale dello stesso nosocomio. Dobbiamo coprire oltre 2500 km e ci attiviamo a trovare i mezzi
pubblici.
Buona permanenza a Gibuti dal vescovo italiano
monsignor Bertin, che ci ospita in una dependance vicino la cattedrale. Poco
fuori città visitiamo l’ex ospedale italiano Balbala gestito da nostri
connazionali, è molto funzionale, del chirurgo dr. Carlo che vi lavora da
alcuni anni con la moglie psicologa,ci hanno detto all’aeroporto che per loro è
un mito!
Il console onorario dr. Rizzo ci ragguaglia sulle tante
difficoltà burocratiche doganali etiopi, mentre quelle di Gibuti si risolvono in
genere in pochi giorni; ci sembra che l’Etiopia non incoraggi per nulla la donazione
di materiale sanitario!
Verso sera partiamo con un mini bus per la frontiera
con l’Etiopia ma stranamente, anziché fare la comoda strada asfaltata che tutti
gli autocarri percorrono, il pulmino si dirige prima verso la Somalia per poi
deviare su una stradina tortuosa, che ci porta vicino alla frontiera etiope,
raggiunta in piena notte, e da cui in territorio etiope partirà poi una pista
di circa 205 km! Stranezze africane.
Si dorme all’addiaccio ed alle 5 partenza per la
frontiera con entrata in Etiopia. Pensiamo d’ora in poi di viaggiare bene ma il
peggio dovrà ancora venire. Se prima il conducente era un ragazzo che masticava
continuamente ciat, pianta euforizzante e raramente guardava la strada, ora
l’autista è più tranquillo, ma l’asfalto si trasforma in una infernale pista
ciottolosa, con saliscendi continui che termina alle cinque della sera nella
cittadina di Dire Dawa, dopo avere mangiato chili di polvere ed aver goduto uno
spettacolo molto interessante e vario, con famiglie di scimpanzé lungo la
strada.
Il giorno successivo ci rilassiamo, si fa per dire,
andando a visitare una bella antica cittadina vicino la Somalia, Harer. In
effetti il luogo merita una deviazione perché è suggestivo. In questa città
dicono che ci sia il miglior caffè d’Etiopia, che gustiamo da una
famiglia. Per prepararci il caffè anzi i tre caffè di rito, bisogna attendere
circa 45 minuti, perché la preparazione è molto laboriosa ed è interamente fatta
a mano come anche la tostatura, i chicchi vengono lentamente pestati.
Il mattino seguente prima dell’alba nuovo bus per
Addis Abeba, questa volta il mezzo è un normale pullman, si attraversa una
delle zone più affascinati dell’Etiopia tra cui la stupenda Rift Valley, si
incontrano fiumi, montagne sempre oltre 2000 m, laghi,
pianure, gole e paesaggi fiabeschi; è stato da poco raccolto il grano, si
vedono ancora le piante di mais più piccole delle nostre e con meno file di
chicchi che ormai secche sono raccolte in covoni. Le piante di banane si
alternano a rari baobab ed eucalipti. Sembra che la gente svolga il lavoro con
serenità e pazienza, due caratteristiche che incontreremo sempre in questo
viaggio.
Verso sera finalmente arriviamo ad Addis Abeba, dopo aver
percorso per oltre 57 km anche un tratto di
nuovissima autostrada a tre corsie. La capitale è come ogni città africana
caotica, il pullman si ferma al capolinea a due passi dalla quasi ultimata
linea della metropolitana, costruita con criteri ultramoderni dai cinesi
che anche qui hanno l’appalto di gran parte della rete stradale. A dir la
verità la città non mi entusiasma molto, è troppo recente ed è un gigantesco
cantiere in costruzione. La parte più bella della città è senz’ altro quella
collinare, sede di numerosi ministeri ed ambasciate.
Nella bellissima Villa Italia in un vasto parco ha
sede la nostra ambasciata. Il dr. Melloni capo della Cooperazione italiana avvisato dall’ambasciatore dr. Mistretta, purtroppo fuori sede, ci aggiorna sull’ iter burocratico di
sdoganamento del mezzo. Rimaniamo ospiti per tre giorni dei salesiani di cui
visitiamo le innumerevoli opere sociali come scuole professionali e non, centri
per orfani, per bambini di strada, per prostitute e ragazze madri, per adozioni
a distanza ecc. Simpatica la visita alla missione di don Mario sul lago Zway e
Langano, quest’ultimo completamente rosa per la presenza di alghe. Altra visita
a Nazret all'ospedale oftalmico St.Francis gestito con maestria dal CUAMM di
Padova, è bene attrezzato, pulito, l’igiene regna sovrana, caratteristica
tipica delle suore anche qui presenti.
La sera il collegamento con radio Veronica di Torino
ci permette di sentire un po’ di aria natia. Dobbiamo ripartire con direzione
Sudan non prima di aver visitato il suggestivo lago Tana con i suoi bellissimi
monasteri ortodossi dei secoli XIII e XIV ricchi di antichi manoscritti
custoditi gelosamente e scampati per miracolo alle distruzioni durante il
periodo di Menghistu.
La perla dell’Etiopia cioè Gonder “la Camelot
africana” così chiamata per i suoi quattro castelli costruiti nel secolo XVII e
che dominano la città dall’ alto, è indubbiamente una città ricca di fascino per
il suo glorioso passato, per essere stata anche capitale della nazione. La sera
Piero e Lucio insistono per andare a cenare in un bel ristorante frequentato da
europei; in effetti si gustano ottimi piatti locali peccato che abusino troppo
di incenso, più che in un ristorante mi sembra di essere in una chiesa.
Il giorno successivo dobbiamo trovarci alla frontiera
col Sudan al mattino presto, partiamo di notte con altro minibus, dopo averlo
aspettato per quasi un’ora con il dubbio che l’autista non venisse, la sera
prima aveva già intascato metà dei soldi pattuiti, invece devo ricredermi,
arriva e riempie completamente il mezzo, non c’è più posto per nessuno. Come
promesso arriviamo alle 8 alla frontiera con il Sudan dove incontriamo
puntualissimo Mortada, ottimo autista dell’agenzia viaggi Levi che abbiamo
contattato per evitare problemi nell’ attraversamento di questa zona di confine.
Khartoum è come sempre una città interessante, la
nostra ambasciata e l’ufficio della Cooperazione italiana, ci supportano non
poco invitandoci anche a pranzo. Visita di rito all’efficiente centro di
cardiochirurgia Salaam di Emergency di Gino Strada, dove Lucio ritrova un
vecchio amico.
Abbiamo anche l’opportunità di visitare il sito
archeologico di Meroe, che sembra sbucare fra le dune dopo un’ora di assolata
pista. È meraviglioso e suggestivo con le sue piramidi nere, risalenti a circa
500 anni prima di Cristo. È una zona archeologica molto ampia e che andrebbe
meglio valorizzata.
Incidente
La sera della diretta con la radio di Torino, nel
tratto di strada che ci riporta in hotel il tuc tuc su cui viaggiamo, a causa di
una grossa buca dell’asfalto sta per ribaltarsi, il ragazzo che lo guida cerca
di sterzare, ma finisce sulla carreggiata opposta mentre sta per sopraggiungere
un’auto a velocità sostenuta, è un attimo, ci buttiamo subito fuori dell’abitacolo
e l’ape finisce la sua folle corsa sul marciapiede, siamo incolumi, più tardi
in camera stentiamo ad addormentarci.
Sull’ aereo che ci riporta a casa ripenso alle
esperienze vissute, alla fatica che ho visto fare per tirare su l’acqua da un
pozzo, e dire che a noi basta un piccolo gesto della mano, per avere subito
acqua pulita pronta da bere, invece sovente beviamo quella in bottiglia.
Ringrazio Lucio e Piero con cui ho condiviso le
esperienze del viaggio; entro Marzo arriveranno in Italia due bambini di 12
anni per operarsi al cuore Elisa dal Senegal e Gueoue bambino dalla Costa
d’Avorio; hanno in comune oltre all’età la malattia congenita e la povertà.
Questi interventi come gli altri, sono pagati dalle onlus Ana Moise
di Aosta e CIS di Canelli. Verranno operati al Gaslini di Genova dal dr. Santoro dell’equipe del prof. Lucio Zannini che ha fatto il viaggio con noi.
Ringrazio di cuore tutti coloro che ci hanno aiutato, e che ci aiuteranno ancora
perché hanno capito che noi siamo più fortunati nascendo anche in un posto
bellissimo.
Strada vicino la capitale
Sudan:Shedi
Viaggio umanitario del CIS in Etiopia-Sudan
Il console onorario dr. Rizzo ci ragguaglia sulle tante difficoltà burocratiche doganali etiopi, mentre quelle di Gibuti si risolvono in genere in pochi giorni; ci sembra che l’Etiopia non incoraggi per nulla la donazione di materiale sanitario!
Incidente
Viaggio umanitario del CIS in Malawi-Zambia
Sabato 18 giugno 2016
Sabato 18 giugno 2016
T Tanzania, la partenza
Oggi 20 Aprile siamo appena atterrati all’aeroporto di Dar Es Salaam in Tanzania. Caldo umido ma sopportabile grazie a un venticello primaverile. Piero, amico di famiglia di vecchia data, ingegnere bresciano, ha finalmente convinto la moglie, così ora può venire con noi! Prima sorpresa: all’uscita dall’aerostazione, padre Kimu, valente sacerdote che opera in missione in Malawi, vicino all’ospedale cui è destinata l’ambulanza, è già lì che ci aspetta per portarci dalle suore per l’alloggiamento, in attesa di sdoganare l’ambulanza spedita da Genova, come sempre grazie alla generosità della Messina.
Dovremmo partire con quel mezzo da qui per arrivare dopo due mila chilometri a Mangochi nel sud del Malawi, in riva al bellissimo lago omonimo, dove lasceremo l’ambulanza, su cui abbiamo caricato un eco cardiografo destinato all’ospedale di Kirundu in Zambia, defibrillatore ed elettrocardiografo per un ospedale di Kinshasa in Congo, diretto dal professor Leon.
Oggi arriva l’amico Wolfgang, ingegnere di Vienna, anche lui neofita per questo tipo di viaggi. Due giorni dopo, superati i mille problemi doganali anche grazie a Kimu, usciamo dal caotico traffico della città con direzione ovest. Siamo rintracciati dalla dogana, che ci avverte che non siamo sulla strada che loro avevano scelto per noi. Hanno messo un registratore sul mezzo, per non perderci mai di vista, prima di uscire dal loro Paese! Cosa già successa in Senegal.
In Tanzania le strade sono insicure per le numerose grosse buche, un temporale ci riduce la media oraria. Come in tutti gli stati anglofoni, si guida alla sinistra, gli autocarri ci superano a forte velocità. Wolf, da bravo asburgico, si attiene con scrupolo ai miei consigli di moderare la velocità. Il mezzo non è certo nuovo, ed è carico, inoltre non conosciamo la strada.
Padre Kimu seduto dietro con me, legge, invia sms, telefona continuamente, scatta qualche rara foto. Piero è navigatore, ormai è come se conoscesse l’amico Wolf da tanti anni, da ingegneri si capiscono meglio, anche se lui non parlando inglese, ha qualche difficoltà nel linguaggio che supera abilmente con gesti. Dopo due ore usciamo dalla città, in vicinanza dei centri abitati l’asfalto presenta piccole e insidiose dune, i dissuasori di velocità, molto alte.
Prima multa per eccesso di velocità, Wolf ha superato di poco i cinquanta km orari! Prima tappa dai salesiani di Irunda dopo oltre 550 km. Arriviamo all’ una e mezza di notte. Ci vengono a prendere per condurci alla missione, finalmente possiamo cenare e lavarci. Non avevamo pranzato perché eravamo partiti dopo mezzogiorno. Anche qui in Tanzania, le sorprese non mancano. A uno dei tanti posti di blocco, dobbiamo pagare l’ennesima multa perché in Tanzania è proibito viaggiare seduti nel retro dove c’è la barella! Stranezze di questi posti. Secondo giorno con un bellissimo tempo, in prossimità della frontiera teniamo il collegamento con radio Vallebelbo di Santo Stefano B. Il cronista Fabio ci rincuora affettuosamente.
Oggi 20 Aprile siamo appena atterrati all’aeroporto di Dar Es Salaam in Tanzania. Caldo umido ma sopportabile grazie a un venticello primaverile. Piero, amico di famiglia di vecchia data, ingegnere bresciano, ha finalmente convinto la moglie, così ora può venire con noi! Prima sorpresa: all’uscita dall’aerostazione, padre Kimu, valente sacerdote che opera in missione in Malawi, vicino all’ospedale cui è destinata l’ambulanza, è già lì che ci aspetta per portarci dalle suore per l’alloggiamento, in attesa di sdoganare l’ambulanza spedita da Genova, come sempre grazie alla generosità della Messina.
Dovremmo partire con quel mezzo da qui per arrivare dopo due mila chilometri a Mangochi nel sud del Malawi, in riva al bellissimo lago omonimo, dove lasceremo l’ambulanza, su cui abbiamo caricato un eco cardiografo destinato all’ospedale di Kirundu in Zambia, defibrillatore ed elettrocardiografo per un ospedale di Kinshasa in Congo, diretto dal professor Leon.
Oggi arriva l’amico Wolfgang, ingegnere di Vienna, anche lui neofita per questo tipo di viaggi. Due giorni dopo, superati i mille problemi doganali anche grazie a Kimu, usciamo dal caotico traffico della città con direzione ovest. Siamo rintracciati dalla dogana, che ci avverte che non siamo sulla strada che loro avevano scelto per noi. Hanno messo un registratore sul mezzo, per non perderci mai di vista, prima di uscire dal loro Paese! Cosa già successa in Senegal.
Dovremmo partire con quel mezzo da qui per arrivare dopo due mila chilometri a Mangochi nel sud del Malawi, in riva al bellissimo lago omonimo, dove lasceremo l’ambulanza, su cui abbiamo caricato un eco cardiografo destinato all’ospedale di Kirundu in Zambia, defibrillatore ed elettrocardiografo per un ospedale di Kinshasa in Congo, diretto dal professor Leon.
Oggi arriva l’amico Wolfgang, ingegnere di Vienna, anche lui neofita per questo tipo di viaggi. Due giorni dopo, superati i mille problemi doganali anche grazie a Kimu, usciamo dal caotico traffico della città con direzione ovest. Siamo rintracciati dalla dogana, che ci avverte che non siamo sulla strada che loro avevano scelto per noi. Hanno messo un registratore sul mezzo, per non perderci mai di vista, prima di uscire dal loro Paese! Cosa già successa in Senegal.
In Tanzania le strade sono insicure per le numerose grosse buche, un temporale ci riduce la media oraria. Come in tutti gli stati anglofoni, si guida alla sinistra, gli autocarri ci superano a forte velocità. Wolf, da bravo asburgico, si attiene con scrupolo ai miei consigli di moderare la velocità. Il mezzo non è certo nuovo, ed è carico, inoltre non conosciamo la strada.
Padre Kimu seduto dietro con me, legge, invia sms, telefona continuamente, scatta qualche rara foto. Piero è navigatore, ormai è come se conoscesse l’amico Wolf da tanti anni, da ingegneri si capiscono meglio, anche se lui non parlando inglese, ha qualche difficoltà nel linguaggio che supera abilmente con gesti. Dopo due ore usciamo dalla città, in vicinanza dei centri abitati l’asfalto presenta piccole e insidiose dune, i dissuasori di velocità, molto alte.
Prima multa per eccesso di velocità, Wolf ha superato di poco i cinquanta km orari! Prima tappa dai salesiani di Irunda dopo oltre 550 km. Arriviamo all’ una e mezza di notte. Ci vengono a prendere per condurci alla missione, finalmente possiamo cenare e lavarci. Non avevamo pranzato perché eravamo partiti dopo mezzogiorno. Anche qui in Tanzania, le sorprese non mancano. A uno dei tanti posti di blocco, dobbiamo pagare l’ennesima multa perché in Tanzania è proibito viaggiare seduti nel retro dove c’è la barella! Stranezze di questi posti. Secondo giorno con un bellissimo tempo, in prossimità della frontiera teniamo il collegamento con radio Vallebelbo di Santo Stefano B. Il cronista Fabio ci rincuora affettuosamente.
Padre Kimu seduto dietro con me, legge, invia sms, telefona continuamente, scatta qualche rara foto. Piero è navigatore, ormai è come se conoscesse l’amico Wolf da tanti anni, da ingegneri si capiscono meglio, anche se lui non parlando inglese, ha qualche difficoltà nel linguaggio che supera abilmente con gesti. Dopo due ore usciamo dalla città, in vicinanza dei centri abitati l’asfalto presenta piccole e insidiose dune, i dissuasori di velocità, molto alte.
Prima multa per eccesso di velocità, Wolf ha superato di poco i cinquanta km orari! Prima tappa dai salesiani di Irunda dopo oltre 550 km. Arriviamo all’ una e mezza di notte. Ci vengono a prendere per condurci alla missione, finalmente possiamo cenare e lavarci. Non avevamo pranzato perché eravamo partiti dopo mezzogiorno. Anche qui in Tanzania, le sorprese non mancano. A uno dei tanti posti di blocco, dobbiamo pagare l’ennesima multa perché in Tanzania è proibito viaggiare seduti nel retro dove c’è la barella! Stranezze di questi posti. Secondo giorno con un bellissimo tempo, in prossimità della frontiera teniamo il collegamento con radio Vallebelbo di Santo Stefano B. Il cronista Fabio ci rincuora affettuosamente.
M Malawi [modifica]
Arriviamo in Malawi verso le ore 14,30, da dove ripartiremo poco prima delle venti. All’ ufficio visti in un primo tempo, non accettano i nostri euro, alla banca locale non ci cambiano neppure gli euro in dollari. Dopo l’intervento di padre Kimu, cambiano parere, possiamo così fare il visto.
Purtroppo le operazioni doganali sono lente. Pare che debbano prendere contatti con la dogana della capitale. Cerco in tutti i modi di sollecitare le pratiche perché vedo Piero e Wolf impazientirsi, non sono abituati a questi tempi africani. In serata raggiungiamo l’hotel, dopo cena non abbiamo problemi ad addormentarci. Al risveglio però, brutta sorpresa, l’ambulanza non vuole ripartire, eppure Wolf incaricato dei rifornimenti aveva sempre controllato tutto con scrupolo. Abbiamo scoperto una perdita d’olio dal motore, che ci viene aggiustata da un bravo meccanico del posto. Terzo giorno di viaggio con arrivo nella capitale Lilongwe. In Malawi le strade sono migliori rispetto alla Tanzania, ci sembra che qui il tenore di vita sia più alto. La sera tappa dalle suore, della cui
Mangochi in orfanotrofio
congregazione non ricordo il nome. Semplice ma gustosa cenetta, poi a nanna perché siamo stanchi. Domani dovremmo arrivare alla prima destinazione cioè la missione di padre Kimu. Pochi chilometri prima della missione lascio la guida al padre perché è ormai a casa sua! Padre Kimu però, che ha sempre evitato di guidare non volendosi misurare con ”esperti come noi”, ora guida ad alta velocità, anche se la strada ha enormi e frequenti buche.
L’accoglienza è festosa, la missione si presenta subito come l’avevamo immaginata, conoscendo il padre: è molto bella, organizzatissima, sembra un resort! Kimu qui ospita tanti bambini orfani cui dà istruzione, insegnamento di un mestiere, cure mediche e tanto amore. Avevamo già capito che il padre era un personaggio particolare, sempre pronto ad anticipare i nostri desideri, ogni nostro problema era risolto subito sul nascere, il tutto sempre condito da un largo e simpatico sorriso, non senza qualche battuta bergamasca.
Bisogna sapere che padre Joseph Kimu, cinquant’ enne con un po’ di pancetta, dalla bella presenza, nato proprio lì in Malawi, da piccolo, grazie all’ adozione a distanza supportata da una coppia bergamasca senza figli, ha potuto crescere e studiare fino all’ ordinazione sacerdotale. Per alcuni anni ha anche vissuto a Bergamo. Ogni volta che Joseph torna in Italia, il suo primo pensiero è di andare al cimitero a trovare i suoi”genitori”.
Le varie attività della missione sono rivolte al sociale, più che una missione, sembra un centro sociale aperto anche alle famiglie. In questo periodo la zona, che periodicamente soffre la siccità, ha subito una grave alluvione con diverse vittime. Kimu, con le donazioni, ha acquistato venticinque pompe d’acqua al costo di 200 euro l’una, le ha donate a famiglie di agricoltori per la coltivazione del mais, che qui assicura fino a tre raccolti l’anno.
Il giorno successivo, consegniamo le chiavi del mezzo, alle autorità dell’ospedale pubblico di Mangochi, visitiamo un villaggio per controllare oltre un centinaio di mamme e i loro piccoli di pochi mesi. Piero, Wolf ed io, aiutati da una valida infermiera raccogliamo i dati non prima di aver assistito a una festa danzante in nostro onore, cui partecipiamo direttamente. Il giorno dopo, Joseph pensa bene di farci rilassare sulle rive del lago Malawi.
Specchio lacustre di oltre 800 chilometri di lunghezza sulle cui acque si affacciano anche la Tanzania e il Mozambico. In un sorridente villaggio lambito dalle acque, conosciamo un prete bergamasco don Mario, anche lui molto attivo nel sociale; organizza tournee di musica leggera in tutta Europa per raccogliere fondi per queste zone. La sera teniamo il collegamento con radio Veronica di Torino grazie a mio fratello Gian Carlo.
La brava Stefania, come sempre, riesce a fare parlare i nostri cuori. Il mattino dopo applichiamo una protesi oculare a una bimba di cinque anni che ha perso l’occhio per un trauma durante un gioco. A pranzo ci commuoviamo leggendo la lettera di ringraziamento della mamma. Mia moglie Ivana con le figlie Barbara e Sara mi telefonano contente! Wolf mi ha detto che nella notte ha pianto, Piero entusiasta, riceve la telefonata dalla sua famiglia felice per l'evento, padre Kimu è al settimo cielo, come anche la mamma della piccola!
Clara prima dell'intervento
Clara dopo l'intervento
Il giorno della partenza, di prima mattina, altra applicazione di protesi oculare, ma a una ragazza adulta che dall’ età di otto anni è completamente cieca da un occhio. Padre Kimu, circa dieci mesi prima, mi aveva chiesto se potessi fare qualche cosa per la bambina senza un occhio. La piccola Clara, così si chiama la bimba, non giocava più con le coetanee perché impaurite nel vederla con un occhio solo. Non volevo interessarmi del caso perché non essendo oculista, avevo paura di sbagliare.
Una settimana prima della partenza, rintraccio al Gaslini il dottor Zannini cardiochirurgo, che mi mette in contatto con il primario oculista, dottor Capris, da qui arrivo alla signora Irene dell’ Oftalmicairis che fabbrica le protesi. Tre giorni prima della partenza sono a Genova dalla signora che, sentite le motivazioni, decide di regalarmele, e di collaborare con noi, è un angelo! La sera prima di applicare le protesi non ho chiuso occhio, perché temevo di metterle male, storte, o peggio temevo che si staccassero poco dopo.
La signora Irene mi ha tranquillizzato, tutto si è svolto al meglio. Ora dobbiamo portare l’ecocardiografo e altro materiale in Zambia. Non avendo più l’ambulanza ci facciamo prestare un pick up dal padre che ci dà anche autista con traduttrice. Purtroppo Wolfgang ci avverte che non verrà in Zambia con noi. Il lavoro lo sommerge. Ci dispiace molto perché abbiamo creato un bel gruppo insieme. Passando da Lilongwe lui prenderà il volo per Vienna, via Dubai. È stata una persona preparata, simpatica e generosa.
Arriviamo in Malawi verso le ore 14,30, da dove ripartiremo poco prima delle venti. All’ ufficio visti in un primo tempo, non accettano i nostri euro, alla banca locale non ci cambiano neppure gli euro in dollari. Dopo l’intervento di padre Kimu, cambiano parere, possiamo così fare il visto.
Purtroppo le operazioni doganali sono lente. Pare che debbano prendere contatti con la dogana della capitale. Cerco in tutti i modi di sollecitare le pratiche perché vedo Piero e Wolf impazientirsi, non sono abituati a questi tempi africani. In serata raggiungiamo l’hotel, dopo cena non abbiamo problemi ad addormentarci. Al risveglio però, brutta sorpresa, l’ambulanza non vuole ripartire, eppure Wolf incaricato dei rifornimenti aveva sempre controllato tutto con scrupolo. Abbiamo scoperto una perdita d’olio dal motore, che ci viene aggiustata da un bravo meccanico del posto. Terzo giorno di viaggio con arrivo nella capitale Lilongwe. In Malawi le strade sono migliori rispetto alla Tanzania, ci sembra che qui il tenore di vita sia più alto. La sera tappa dalle suore, della cui
congregazione non ricordo il nome. Semplice ma gustosa cenetta, poi a nanna perché siamo stanchi. Domani dovremmo arrivare alla prima destinazione cioè la missione di padre Kimu. Pochi chilometri prima della missione lascio la guida al padre perché è ormai a casa sua! Padre Kimu però, che ha sempre evitato di guidare non volendosi misurare con ”esperti come noi”, ora guida ad alta velocità, anche se la strada ha enormi e frequenti buche.
Purtroppo le operazioni doganali sono lente. Pare che debbano prendere contatti con la dogana della capitale. Cerco in tutti i modi di sollecitare le pratiche perché vedo Piero e Wolf impazientirsi, non sono abituati a questi tempi africani. In serata raggiungiamo l’hotel, dopo cena non abbiamo problemi ad addormentarci. Al risveglio però, brutta sorpresa, l’ambulanza non vuole ripartire, eppure Wolf incaricato dei rifornimenti aveva sempre controllato tutto con scrupolo. Abbiamo scoperto una perdita d’olio dal motore, che ci viene aggiustata da un bravo meccanico del posto. Terzo giorno di viaggio con arrivo nella capitale Lilongwe. In Malawi le strade sono migliori rispetto alla Tanzania, ci sembra che qui il tenore di vita sia più alto. La sera tappa dalle suore, della cui
Mangochi in orfanotrofio |
L’accoglienza è festosa, la missione si presenta subito come l’avevamo immaginata, conoscendo il padre: è molto bella, organizzatissima, sembra un resort! Kimu qui ospita tanti bambini orfani cui dà istruzione, insegnamento di un mestiere, cure mediche e tanto amore. Avevamo già capito che il padre era un personaggio particolare, sempre pronto ad anticipare i nostri desideri, ogni nostro problema era risolto subito sul nascere, il tutto sempre condito da un largo e simpatico sorriso, non senza qualche battuta bergamasca.
Bisogna sapere che padre Joseph Kimu, cinquant’ enne con un po’ di pancetta, dalla bella presenza, nato proprio lì in Malawi, da piccolo, grazie all’ adozione a distanza supportata da una coppia bergamasca senza figli, ha potuto crescere e studiare fino all’ ordinazione sacerdotale. Per alcuni anni ha anche vissuto a Bergamo. Ogni volta che Joseph torna in Italia, il suo primo pensiero è di andare al cimitero a trovare i suoi”genitori”.
Le varie attività della missione sono rivolte al sociale, più che una missione, sembra un centro sociale aperto anche alle famiglie. In questo periodo la zona, che periodicamente soffre la siccità, ha subito una grave alluvione con diverse vittime. Kimu, con le donazioni, ha acquistato venticinque pompe d’acqua al costo di 200 euro l’una, le ha donate a famiglie di agricoltori per la coltivazione del mais, che qui assicura fino a tre raccolti l’anno.
Bisogna sapere che padre Joseph Kimu, cinquant’ enne con un po’ di pancetta, dalla bella presenza, nato proprio lì in Malawi, da piccolo, grazie all’ adozione a distanza supportata da una coppia bergamasca senza figli, ha potuto crescere e studiare fino all’ ordinazione sacerdotale. Per alcuni anni ha anche vissuto a Bergamo. Ogni volta che Joseph torna in Italia, il suo primo pensiero è di andare al cimitero a trovare i suoi”genitori”.
Le varie attività della missione sono rivolte al sociale, più che una missione, sembra un centro sociale aperto anche alle famiglie. In questo periodo la zona, che periodicamente soffre la siccità, ha subito una grave alluvione con diverse vittime. Kimu, con le donazioni, ha acquistato venticinque pompe d’acqua al costo di 200 euro l’una, le ha donate a famiglie di agricoltori per la coltivazione del mais, che qui assicura fino a tre raccolti l’anno.
Il giorno successivo, consegniamo le chiavi del mezzo, alle autorità dell’ospedale pubblico di Mangochi, visitiamo un villaggio per controllare oltre un centinaio di mamme e i loro piccoli di pochi mesi. Piero, Wolf ed io, aiutati da una valida infermiera raccogliamo i dati non prima di aver assistito a una festa danzante in nostro onore, cui partecipiamo direttamente. Il giorno dopo, Joseph pensa bene di farci rilassare sulle rive del lago Malawi.
Specchio lacustre di oltre 800 chilometri di lunghezza sulle cui acque si affacciano anche la Tanzania e il Mozambico. In un sorridente villaggio lambito dalle acque, conosciamo un prete bergamasco don Mario, anche lui molto attivo nel sociale; organizza tournee di musica leggera in tutta Europa per raccogliere fondi per queste zone. La sera teniamo il collegamento con radio Veronica di Torino grazie a mio fratello Gian Carlo.
La brava Stefania, come sempre, riesce a fare parlare i nostri cuori. Il mattino dopo applichiamo una protesi oculare a una bimba di cinque anni che ha perso l’occhio per un trauma durante un gioco. A pranzo ci commuoviamo leggendo la lettera di ringraziamento della mamma. Mia moglie Ivana con le figlie Barbara e Sara mi telefonano contente! Wolf mi ha detto che nella notte ha pianto, Piero entusiasta, riceve la telefonata dalla sua famiglia felice per l'evento, padre Kimu è al settimo cielo, come anche la mamma della piccola!
Specchio lacustre di oltre 800 chilometri di lunghezza sulle cui acque si affacciano anche la Tanzania e il Mozambico. In un sorridente villaggio lambito dalle acque, conosciamo un prete bergamasco don Mario, anche lui molto attivo nel sociale; organizza tournee di musica leggera in tutta Europa per raccogliere fondi per queste zone. La sera teniamo il collegamento con radio Veronica di Torino grazie a mio fratello Gian Carlo.
La brava Stefania, come sempre, riesce a fare parlare i nostri cuori. Il mattino dopo applichiamo una protesi oculare a una bimba di cinque anni che ha perso l’occhio per un trauma durante un gioco. A pranzo ci commuoviamo leggendo la lettera di ringraziamento della mamma. Mia moglie Ivana con le figlie Barbara e Sara mi telefonano contente! Wolf mi ha detto che nella notte ha pianto, Piero entusiasta, riceve la telefonata dalla sua famiglia felice per l'evento, padre Kimu è al settimo cielo, come anche la mamma della piccola!
Clara prima dell'intervento |
Clara dopo l'intervento |
Il giorno della partenza, di prima mattina, altra applicazione di protesi oculare, ma a una ragazza adulta che dall’ età di otto anni è completamente cieca da un occhio. Padre Kimu, circa dieci mesi prima, mi aveva chiesto se potessi fare qualche cosa per la bambina senza un occhio. La piccola Clara, così si chiama la bimba, non giocava più con le coetanee perché impaurite nel vederla con un occhio solo. Non volevo interessarmi del caso perché non essendo oculista, avevo paura di sbagliare.
Una settimana prima della partenza, rintraccio al Gaslini il dottor Zannini cardiochirurgo, che mi mette in contatto con il primario oculista, dottor Capris, da qui arrivo alla signora Irene dell’ Oftalmicairis che fabbrica le protesi. Tre giorni prima della partenza sono a Genova dalla signora che, sentite le motivazioni, decide di regalarmele, e di collaborare con noi, è un angelo! La sera prima di applicare le protesi non ho chiuso occhio, perché temevo di metterle male, storte, o peggio temevo che si staccassero poco dopo.
La signora Irene mi ha tranquillizzato, tutto si è svolto al meglio. Ora dobbiamo portare l’ecocardiografo e altro materiale in Zambia. Non avendo più l’ambulanza ci facciamo prestare un pick up dal padre che ci dà anche autista con traduttrice. Purtroppo Wolfgang ci avverte che non verrà in Zambia con noi. Il lavoro lo sommerge. Ci dispiace molto perché abbiamo creato un bel gruppo insieme. Passando da Lilongwe lui prenderà il volo per Vienna, via Dubai. È stata una persona preparata, simpatica e generosa.
Una settimana prima della partenza, rintraccio al Gaslini il dottor Zannini cardiochirurgo, che mi mette in contatto con il primario oculista, dottor Capris, da qui arrivo alla signora Irene dell’ Oftalmicairis che fabbrica le protesi. Tre giorni prima della partenza sono a Genova dalla signora che, sentite le motivazioni, decide di regalarmele, e di collaborare con noi, è un angelo! La sera prima di applicare le protesi non ho chiuso occhio, perché temevo di metterle male, storte, o peggio temevo che si staccassero poco dopo.
La signora Irene mi ha tranquillizzato, tutto si è svolto al meglio. Ora dobbiamo portare l’ecocardiografo e altro materiale in Zambia. Non avendo più l’ambulanza ci facciamo prestare un pick up dal padre che ci dà anche autista con traduttrice. Purtroppo Wolfgang ci avverte che non verrà in Zambia con noi. Il lavoro lo sommerge. Ci dispiace molto perché abbiamo creato un bel gruppo insieme. Passando da Lilongwe lui prenderà il volo per Vienna, via Dubai. È stata una persona preparata, simpatica e generosa.
Zam
Zambia. La sera tappa a Chipata cittadina zambiana vicino alla frontiera. Anche qui in dogana i soliti problemi di soldi. Non accettano gli euro e neppure i dollari da poco cambiati, sono stati stampati prima del 2000! Dopo un’ora di discussioni troviamo chi ce li cambia ed otteniamo il visto. La sera siamo dalle suore che festeggiano una loro consorella destinata ad altra missione.
È una bella festicciola, preparata con arte, ogni suora balla e canta, coinvolgendo anche noi. Il giorno successivo, a un posto di blocco della polizia, una graziosa ma antipatica ragazza vigile ci multa di trenta euro, perchè nei sedili posteriori non siamo legati con la cintura. Nel primo pomeriggio arriviamo a Livingstone, ridente cittadina sullo Zambesi, base per la visita delle cascate Vittoria sul versante zambiano.
Padre Joseph ci ha come sempre prenotato l’alloggiamento, saremo nei locali dell'arcivescovado. Nel pomeriggio visita alle cascate. Imponente spettacolo della natura che ci regala un’esperienza meravigliosa. La massa d’acqua dello Zambesi che precipita è enorme, il rumore è assordante, per l’enorme spruzzo non possiamo rimanere molto sulla terrazza prospiciente la cascata perché in pochi secondi siamo completamente bagnati.
Anche il nostro autista è estasiato da tanta bellezza che tentiamo di fotografare, anche con l’obiettivo bagnato. Il mattino successivo andiamo a Kirundo oltre 500 chilometri a sud-est. Suor Erminia ci aspettava già dal giorno prima come le avevo scritto alla partenza dall’ Italia. Il viaggio è lungo e pieno d’imprevisti. La suora m’invia un sms, si rammarica per il ritardo, dice che aveva già prenotato alcune visite cardiologiche per me.
Il paesaggio è molto bello con saliscendi continui, incontriamo solo autocarri, a una curva un grosso tir è capovolto sul ciglio della strada. Anche qui la gente sembra gentile, sovente ci saluta al passaggio. Le strade che stiamo percorrendo sono asfaltate bene, hanno corsie laterali per pedoni e biciclette. Molte case sono in muratura, anche qui come in Malawi il mezzo dominante è la bicicletta che trasporta nel sellino posteriore un’altra persona, sovente vestita con cura.
A un posto di blocco i poliziotti dicono che dobbiamo pagare novanta euro di multa perché l’auto proveniente dal Malawi non è iscritta al Pra zambiano. Scendo a chiarire la cosa. Insistono perché paghiamo. Faccio presente all’ ufficiale più anziano che ha un’evidente cataratta ad un occhio che si potrebbe facilmente operare.
Gli dico che stiamo portando a un loro ospedale apparecchiatura sanitaria, anzi gli faccio presente che, se ha tempo di raggiungerci all’ ospedale dove siamo diretti, gli faccio io stesso un ecodoppler per maggior sicurezza. Mi ringrazia, dice di ripartire che va bene così! È quasi l’una, arriviamo a Kirundo; per non perdere tempo chiediamo a un ragazzo, se può salire con noi sul mezzo, per indicarci meglio la strada.
Suor Erminia, contrariamente a quanto pensavo è una giovane suora, dai modi decisi e sicuri, ci offre un piatto di fagiolini bolliti, un uovo in camicia e una mela. Scarichiamo il pesante ecocardiografo e il resto del materiale. Pare contenta dell’apparecchio, anche se per la sua riservatezza non lo fa molto vedere.
Ci fa condurre nella nostra stanza, ottima sistemazione fra il verde in riva allo Zambesi, dove Piero vorrebbe fare il bagno, ma un collega medico che abita vicino a noi glielo sconsiglia, perché dice essere infestato da coccodrilli che, nell’ altra sponda tempo fa, avevano addirittura divorato incauti bambini, scesi a riva per giocare! Siamo rabbrividiti dalla notizia.
Suor Erminia, direttore sanitario, medico, gastroenterologo, da svariati anni vive lì; a giudicare dalla serenità dello sguardo, sembrerebbe che lì ci fosse anche nata, per la naturalezza con la quale si muove. E’un ospedale molto funzionale, amministrato con intelligenza, periodicamente arrivano medici europei, in genere italiani che prestano gratuitamente la loro opera, per insegnare o per eseguire interventi chirurgici, come il dottor Barbero, ottimo primario ginecologo all'ospedale di Asti.
Nel breve periodo in cui c’eravamo noi, una giovane ostetrica milanese vi lavorava già da qualche mese. Accanto all’ ospedale si trova anche un funzionale orfanotrofio, ospitante una settantina di bambini alloggiati in graziose casette, fatte a tipo di capannine.
Piero s’interessa della costruzione che, costruita negli anni sessanta dalla Diocesi di Milano, necessita oggi di qualche ritocco. Mentre io insegno ai colleghi il funzionamento dell’ecocardiografo e ripasso con loro le nozioni base dell’elettrocardiografia, Piero è instancabile nell’ ispezionare con cura il grande edificio e quello della costruenda chiesa.
Nel corso delle visite individuo un bambino per intervento al cuore, la solerte suor Erminia in un baleno inizia a predisporre tutte le pratiche di trasferimento in Italia. La sera diretta radio con l’Italia. Nella casetta dove siamo alloggiati, un bravo cuoco locale prepara i pasti con attenzione e professionalità. Piero, con la solita innata simpatia lo ringrazia per la bontà dei piatti.
Anche qui purtroppo il tempo passa in un baleno. Il mattino dopo sono svegliato dal rumore di alcune scimmie che si arrampicano sull’ albero vicino alla mia finestra. Dobbiamo ritornare a casa, prima però portiamo apparecchio per elettrocardiogrammi e defibrillatore alla missione di suore salesiane, poco fuori Lusaka, dove Il prof. Leon Tshilolo, che aveva studiato a Padova ed ora lavora in ospedale in Congo ad est di Kinshasa, sarebbe poi andato a prenderli. Il dr. Buffa del Gaslini mi aveva messo in contatto con lui.
Un pick up è già pronto, per portarci all’ aeroporto di Lusaka, capitale dello Zambia. Il giorno dopo Luca, figlio di Piero, mia figlia Barbara e il suo compagno Claudio fanno la sorpresa di venirci ad aspettare alla Malpensa. Siamo rilassati e contenti. Anche Piero non pensava di portare a casa un regalo così bello: il sorriso dei tanti bambini che ci ha ricaricato dentro! Grazie Africa!
Zambia. La sera tappa a Chipata cittadina zambiana vicino alla frontiera. Anche qui in dogana i soliti problemi di soldi. Non accettano gli euro e neppure i dollari da poco cambiati, sono stati stampati prima del 2000! Dopo un’ora di discussioni troviamo chi ce li cambia ed otteniamo il visto. La sera siamo dalle suore che festeggiano una loro consorella destinata ad altra missione.
È una bella festicciola, preparata con arte, ogni suora balla e canta, coinvolgendo anche noi. Il giorno successivo, a un posto di blocco della polizia, una graziosa ma antipatica ragazza vigile ci multa di trenta euro, perchè nei sedili posteriori non siamo legati con la cintura. Nel primo pomeriggio arriviamo a Livingstone, ridente cittadina sullo Zambesi, base per la visita delle cascate Vittoria sul versante zambiano.
Padre Joseph ci ha come sempre prenotato l’alloggiamento, saremo nei locali dell'arcivescovado. Nel pomeriggio visita alle cascate. Imponente spettacolo della natura che ci regala un’esperienza meravigliosa. La massa d’acqua dello Zambesi che precipita è enorme, il rumore è assordante, per l’enorme spruzzo non possiamo rimanere molto sulla terrazza prospiciente la cascata perché in pochi secondi siamo completamente bagnati.
Anche il nostro autista è estasiato da tanta bellezza che tentiamo di fotografare, anche con l’obiettivo bagnato. Il mattino successivo andiamo a Kirundo oltre 500 chilometri a sud-est. Suor Erminia ci aspettava già dal giorno prima come le avevo scritto alla partenza dall’ Italia. Il viaggio è lungo e pieno d’imprevisti. La suora m’invia un sms, si rammarica per il ritardo, dice che aveva già prenotato alcune visite cardiologiche per me.
Il paesaggio è molto bello con saliscendi continui, incontriamo solo autocarri, a una curva un grosso tir è capovolto sul ciglio della strada. Anche qui la gente sembra gentile, sovente ci saluta al passaggio. Le strade che stiamo percorrendo sono asfaltate bene, hanno corsie laterali per pedoni e biciclette. Molte case sono in muratura, anche qui come in Malawi il mezzo dominante è la bicicletta che trasporta nel sellino posteriore un’altra persona, sovente vestita con cura.
A un posto di blocco i poliziotti dicono che dobbiamo pagare novanta euro di multa perché l’auto proveniente dal Malawi non è iscritta al Pra zambiano. Scendo a chiarire la cosa. Insistono perché paghiamo. Faccio presente all’ ufficiale più anziano che ha un’evidente cataratta ad un occhio che si potrebbe facilmente operare.
Gli dico che stiamo portando a un loro ospedale apparecchiatura sanitaria, anzi gli faccio presente che, se ha tempo di raggiungerci all’ ospedale dove siamo diretti, gli faccio io stesso un ecodoppler per maggior sicurezza. Mi ringrazia, dice di ripartire che va bene così! È quasi l’una, arriviamo a Kirundo; per non perdere tempo chiediamo a un ragazzo, se può salire con noi sul mezzo, per indicarci meglio la strada.
È una bella festicciola, preparata con arte, ogni suora balla e canta, coinvolgendo anche noi. Il giorno successivo, a un posto di blocco della polizia, una graziosa ma antipatica ragazza vigile ci multa di trenta euro, perchè nei sedili posteriori non siamo legati con la cintura. Nel primo pomeriggio arriviamo a Livingstone, ridente cittadina sullo Zambesi, base per la visita delle cascate Vittoria sul versante zambiano.
Padre Joseph ci ha come sempre prenotato l’alloggiamento, saremo nei locali dell'arcivescovado. Nel pomeriggio visita alle cascate. Imponente spettacolo della natura che ci regala un’esperienza meravigliosa. La massa d’acqua dello Zambesi che precipita è enorme, il rumore è assordante, per l’enorme spruzzo non possiamo rimanere molto sulla terrazza prospiciente la cascata perché in pochi secondi siamo completamente bagnati.
Anche il nostro autista è estasiato da tanta bellezza che tentiamo di fotografare, anche con l’obiettivo bagnato. Il mattino successivo andiamo a Kirundo oltre 500 chilometri a sud-est. Suor Erminia ci aspettava già dal giorno prima come le avevo scritto alla partenza dall’ Italia. Il viaggio è lungo e pieno d’imprevisti. La suora m’invia un sms, si rammarica per il ritardo, dice che aveva già prenotato alcune visite cardiologiche per me.
Il paesaggio è molto bello con saliscendi continui, incontriamo solo autocarri, a una curva un grosso tir è capovolto sul ciglio della strada. Anche qui la gente sembra gentile, sovente ci saluta al passaggio. Le strade che stiamo percorrendo sono asfaltate bene, hanno corsie laterali per pedoni e biciclette. Molte case sono in muratura, anche qui come in Malawi il mezzo dominante è la bicicletta che trasporta nel sellino posteriore un’altra persona, sovente vestita con cura.
A un posto di blocco i poliziotti dicono che dobbiamo pagare novanta euro di multa perché l’auto proveniente dal Malawi non è iscritta al Pra zambiano. Scendo a chiarire la cosa. Insistono perché paghiamo. Faccio presente all’ ufficiale più anziano che ha un’evidente cataratta ad un occhio che si potrebbe facilmente operare.
Gli dico che stiamo portando a un loro ospedale apparecchiatura sanitaria, anzi gli faccio presente che, se ha tempo di raggiungerci all’ ospedale dove siamo diretti, gli faccio io stesso un ecodoppler per maggior sicurezza. Mi ringrazia, dice di ripartire che va bene così! È quasi l’una, arriviamo a Kirundo; per non perdere tempo chiediamo a un ragazzo, se può salire con noi sul mezzo, per indicarci meglio la strada.
Suor Erminia, contrariamente a quanto pensavo è una giovane suora, dai modi decisi e sicuri, ci offre un piatto di fagiolini bolliti, un uovo in camicia e una mela. Scarichiamo il pesante ecocardiografo e il resto del materiale. Pare contenta dell’apparecchio, anche se per la sua riservatezza non lo fa molto vedere.
Ci fa condurre nella nostra stanza, ottima sistemazione fra il verde in riva allo Zambesi, dove Piero vorrebbe fare il bagno, ma un collega medico che abita vicino a noi glielo sconsiglia, perché dice essere infestato da coccodrilli che, nell’ altra sponda tempo fa, avevano addirittura divorato incauti bambini, scesi a riva per giocare! Siamo rabbrividiti dalla notizia.
Suor Erminia, direttore sanitario, medico, gastroenterologo, da svariati anni vive lì; a giudicare dalla serenità dello sguardo, sembrerebbe che lì ci fosse anche nata, per la naturalezza con la quale si muove. E’un ospedale molto funzionale, amministrato con intelligenza, periodicamente arrivano medici europei, in genere italiani che prestano gratuitamente la loro opera, per insegnare o per eseguire interventi chirurgici, come il dottor Barbero, ottimo primario ginecologo all'ospedale di Asti.
Ci fa condurre nella nostra stanza, ottima sistemazione fra il verde in riva allo Zambesi, dove Piero vorrebbe fare il bagno, ma un collega medico che abita vicino a noi glielo sconsiglia, perché dice essere infestato da coccodrilli che, nell’ altra sponda tempo fa, avevano addirittura divorato incauti bambini, scesi a riva per giocare! Siamo rabbrividiti dalla notizia.
Suor Erminia, direttore sanitario, medico, gastroenterologo, da svariati anni vive lì; a giudicare dalla serenità dello sguardo, sembrerebbe che lì ci fosse anche nata, per la naturalezza con la quale si muove. E’un ospedale molto funzionale, amministrato con intelligenza, periodicamente arrivano medici europei, in genere italiani che prestano gratuitamente la loro opera, per insegnare o per eseguire interventi chirurgici, come il dottor Barbero, ottimo primario ginecologo all'ospedale di Asti.
Nel breve periodo in cui c’eravamo noi, una giovane ostetrica milanese vi lavorava già da qualche mese. Accanto all’ ospedale si trova anche un funzionale orfanotrofio, ospitante una settantina di bambini alloggiati in graziose casette, fatte a tipo di capannine.
Piero s’interessa della costruzione che, costruita negli anni sessanta dalla Diocesi di Milano, necessita oggi di qualche ritocco. Mentre io insegno ai colleghi il funzionamento dell’ecocardiografo e ripasso con loro le nozioni base dell’elettrocardiografia, Piero è instancabile nell’ ispezionare con cura il grande edificio e quello della costruenda chiesa.
Nel corso delle visite individuo un bambino per intervento al cuore, la solerte suor Erminia in un baleno inizia a predisporre tutte le pratiche di trasferimento in Italia. La sera diretta radio con l’Italia. Nella casetta dove siamo alloggiati, un bravo cuoco locale prepara i pasti con attenzione e professionalità. Piero, con la solita innata simpatia lo ringrazia per la bontà dei piatti.
Anche qui purtroppo il tempo passa in un baleno. Il mattino dopo sono svegliato dal rumore di alcune scimmie che si arrampicano sull’ albero vicino alla mia finestra. Dobbiamo ritornare a casa, prima però portiamo apparecchio per elettrocardiogrammi e defibrillatore alla missione di suore salesiane, poco fuori Lusaka, dove Il prof. Leon Tshilolo, che aveva studiato a Padova ed ora lavora in ospedale in Congo ad est di Kinshasa, sarebbe poi andato a prenderli. Il dr. Buffa del Gaslini mi aveva messo in contatto con lui.
Un pick up è già pronto, per portarci all’ aeroporto di Lusaka, capitale dello Zambia. Il giorno dopo Luca, figlio di Piero, mia figlia Barbara e il suo compagno Claudio fanno la sorpresa di venirci ad aspettare alla Malpensa. Siamo rilassati e contenti. Anche Piero non pensava di portare a casa un regalo così bello: il sorriso dei tanti bambini che ci ha ricaricato dentro! Grazie Africa!
Piero s’interessa della costruzione che, costruita negli anni sessanta dalla Diocesi di Milano, necessita oggi di qualche ritocco. Mentre io insegno ai colleghi il funzionamento dell’ecocardiografo e ripasso con loro le nozioni base dell’elettrocardiografia, Piero è instancabile nell’ ispezionare con cura il grande edificio e quello della costruenda chiesa.
Nel corso delle visite individuo un bambino per intervento al cuore, la solerte suor Erminia in un baleno inizia a predisporre tutte le pratiche di trasferimento in Italia. La sera diretta radio con l’Italia. Nella casetta dove siamo alloggiati, un bravo cuoco locale prepara i pasti con attenzione e professionalità. Piero, con la solita innata simpatia lo ringrazia per la bontà dei piatti.
Anche qui purtroppo il tempo passa in un baleno. Il mattino dopo sono svegliato dal rumore di alcune scimmie che si arrampicano sull’ albero vicino alla mia finestra. Dobbiamo ritornare a casa, prima però portiamo apparecchio per elettrocardiogrammi e defibrillatore alla missione di suore salesiane, poco fuori Lusaka, dove Il prof. Leon Tshilolo, che aveva studiato a Padova ed ora lavora in ospedale in Congo ad est di Kinshasa, sarebbe poi andato a prenderli. Il dr. Buffa del Gaslini mi aveva messo in contatto con lui.
Un pick up è già pronto, per portarci all’ aeroporto di Lusaka, capitale dello Zambia. Il giorno dopo Luca, figlio di Piero, mia figlia Barbara e il suo compagno Claudio fanno la sorpresa di venirci ad aspettare alla Malpensa. Siamo rilassati e contenti. Anche Piero non pensava di portare a casa un regalo così bello: il sorriso dei tanti bambini che ci ha ricaricato dentro! Grazie Africa!
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Viaggio umanitario
del CIS in Ruanda
Viaggio umanitario
del CIS in Ruanda
( Quarta volta )
( Quarta volta )
La pubblicazione di questo articolo è stata autorizzata dalla comunità di Wikinotizie. Vedi discussioni
Il viaggio umanitario del CIS (Cooperazione italiana
solidarietà) di quest’anno consisterà nel portare ambulanza, ecocardiografo e
materiale sanitario più land rover a tre ospedali in: Kenia, Sud Sudan, Ruanda.
Arrivati a Mombasa in piena notte, al controllo
doganale il personale ci avverte che i pacchi di farmaci portati verranno
confiscati perché illegali. Bisogna avere una speciale autorizzazione
ministeriale. L’addetto si ammorbidisce di fronte a due bottiglie di vino.
Purtroppo dobbiamo aspettare un’ora decente per andare dalle suore della
Consolata a sistemare gli zaini ed il bagaglio. Poco dopo eccoci all’agenzia
che si occupa dello sdoganamento, purtroppo è situata nell’isola; per
raggiungerla dobbiamo fare una lunga fila in attesa del traghetto. Per
l’attraversamento di un brevissimo braccio di mare impieghiamo ogni giorno
oltre un’ora.
Capisco subito che l’agenzia scelta lascia molto a desiderare
come impegno e serietà : promette mare e monti, poi invece dobbiamo
aspettare otto giorni per lo sdoganamento dei mezzi. Uno dei tre compagni
impazientito riparte da solo dopo qualche giorno di attesa. Piero R. e Roberto
R. invece accettano pazientemente di attendere i mezzi. Suor Maria Antonia,
intraprendente ed onnipresente madre superiora, è attenta ad ogni nostra
richiesta pur essendo oberata da mille impegni: l’ospedale, l’ambulatorio, la
scuola materna, la gestione della missione.
Monsignor Bertin vescovo di
Mogadiscio, attualmente a Gibuti, mi ha dato un ottimo consiglio indirizzandomi
a questa missione. La suora, come anche il prelato, erano stati a Mogadiscio
negli anni di guerra e terrorismo. Decido di lasciare il mio ecocardiografo
preso con Roberto a Vienna grazie alla generosità dell’ingegner Zeller Wolfgang,
lì alla missione, in attesa che venga portato a circa mille chilometri a nord
in un ospedale bisognoso ( Wamba ). Non abbiamo capito perché la dogana abbia
parcheggiato l’ambulanza in una zona del porto distante parecchi chilometri da
dove è stato lasciato il land rover.
Con molta pazienza riusciamo a recuperare
i due mezzi ed a partire nel pomeriggio. La suora insiste a darci una guida che
ci accompagnerà fino a Nairobi e che poi si rivelerà di nessun aiuto. Usciti
dal porto imbocchiamo la strada per Nairobi, che qui chiamano autostrada ma per
noi non lo è; è molto trafficata da autocarri specie in quest’ora dove, alla
periferia nord est, dovrebbe attenderci all’ospedale Neema Ruaraka il dr.
Morino Gianfranco, fondatore dello stesso nosocomio, che vi lavora da oltre
venticinque anni. Ci ha riservato una stanza per ognuno.
Per il traffico
caotico e pericoloso specie di notte, dobbiamo saltare questa tappa perché la
nostra media oraria non ci permette di andare più forte. Questa prima notte, di
comune accordo dormiamo in auto, aggiustandoci come possiamo, il nostro
accompagnatore si sistema bene in ambulanza, mentre Roberto e Piero dormono
seduti. Il pomeriggio successivo siamo a Nakuru, grande città a nord di Nairobi
sulla direttiva per Kampala.
Avremmo dovuto andare a Giuba in sud Sudan dai
salesiani che gestiscono una missione dove accolgono bambini abbandonati ed
orfani. Purtroppo, pur avendo i visti d’ingresso dobbiamo malvolentieri
rinunciarvi, i lunghi tempi di attesa alle frontiere rallentano la marcia.
Molto probabilmente per un disguido l'ambasciata africana ha registrato un solo
ingresso per l'Uganda, per cui se fossimo usciti, non saremmo più potuti
rientrare per andare in Ruanda.
Per consegnare il land rover mi accordo con la
missione salesiana di Bombo vicino Kampala, dove purtroppo per motivi che non
capisco, uno di noi alla guida dell’ambulanza decide di non arrivare,
fermandosi in un hotel prima della tappa prevista. La stanchezza e l’orgoglio
fanno sempre dei brutti scherzi ! Guidare su queste strade è molto
pericoloso: i nostri mezzi hanno il volante a sinistra mentre qui la guida è a
sinistra e quindi si sorpassa sulla destra; se si è da soli è praticamente
impossibile fare la manovra; di notte diversi camionisti guidano a fari spenti
e velocità sostenuta.
In corrispondenza dei villaggi si incontrano numerosi
dossi come dissuasori di velocità, che se vengono superati andando forte,
rappresentano un serio pericolo per le sospensioni e le gomme; per non parlare
poi delle persone che camminano con i bambini lungo le strade. Ai lati della
carreggiata non sono rari camion rovesciati, le capre e le mucche maciullate
sull’asfalto non si contano. I vigili sono inflessibili, uno di noi deve pagare
una multa per eccesso di velocità.
É importante guidare controllandoci sempre a
vista, ma questo semplice consiglio non viene messo in pratica da tutti. Altra
regola fondamentale per non perdersi è avere ognuno il recapito telefonico
dell’altro, quando si cambia la scheda telefonica con quella del posto, bisogna
che tutti aggiornino il nuovo numero. Purtroppo non tutti vogliono cambiare la
scheda; con quella italiana non si può comunicare dall’estero con utenti che
abbiano la scheda locale. Far capire queste cose a certe persone è praticamente
impossibile.
Dopo un giorno, recuperato l’amico che si era staccato e superata
Kampala riprendiamo tutti e tre il viaggio. In questa città, capitale
dell’Uganda avremmo dovuto incontrare il nostro ambasciatore dottor Fornara
conosciuto anni fa a Dakar e che ci aspettava volentieri; volevo portargli una
buona bottiglia di vino ed il mio libro sui viaggi; purtroppo anche qui siamo
in ritardo sulla tabella di marcia per la sosta forzata in città, poi è giorno
festivo e le ambasciate sono chiuse. Dopo due ore di viaggio arriviamo a
Masaka. Siamo stanchi e tesi, ma dopo qualche ora di riposo ed un ‘ottima
cenetta ritorna la serenità.
Il giorno dopo siamo in Ruanda, tappa finale
l’ospedale di Murunda vicino al lago Kivu. Per le solite lungaggini
burocratiche dobbiamo aspettare circa otto ore in dogana. Ci raggiunge come
previsto il dottor Eugene, direttore sanitario dell’ospedale dove è destinata
l’ambulanza. A sorpresa i doganieri ci avvertono che sotto il sedile di guida
dell’ambulanza, alla dogana di Mombasa ci era stato messo un registratore per
controllarci durante l’attraversamento del Kenia. Peccato che non ce lo abbiano
detto! Ora fanno storie per questo problema, che hanno creato i loro colleghi
di Mombasa!
È quasi buio quando usciamo dalla dogana con l’ambulanza ed il
fuoristrada di Eugene. Avevo prenotato il pernottamento dai salesiani di
Kigali, la capitale, ma il dottore ci consiglia di andare direttamente
all’ospedale. Noi invece avevamo pensato di ripartire il giorno successivo.
Siamo a stomaco vuoto, avendo saltato pranzo. Insisto per fermarci per cena. Il
Dottore ci offre la cena presso una missione di suore tedesche di Kigali. Per
fortuna che in Ruanda la guida è a destra, Roberto manovra l’ambulanza con
maggior sicurezza.
Dopo cena dobbiamo andare alla dogana centrale e lasciare il
mezzo in attesa che siano espletate le lunghe procedure doganali. Staccate le
targhe da consegnare poi all’ACI in Italia e fatte le foto di rito, Eugene con
la sua segretaria ci fa salire sul suo fuori strada. Roberto prende posto
davanti, mentre noi con la signora ci sistemiamo dietro. Accettiamo di andare
direttamente a Murunda, abbiamo così recuperato un giorno. Kigali di notte è
bellissima, con tutte le sue mille luci adagiata sulle colline.
Rispetto al
1994 tutto è cambiato, le persone camminano tranquille, in una città pulita ed
ordinata, sembra di essere in Svizzera ! Eppure siamo nel cuore
dell’Africa, dopo circa 20 anni dalla tremenda guerra civile che è costata alla
popolazione oltre un milione di morti, oltre a qualche milione di profughi. Le
stesse case di periferia sono pulite ed ordinate, non come si vede in altre
grandi città africane; non vediamo nessuno fumare, è considerata maleducazione
farsi vedere con la sigaretta in mano. Ci dicono inoltre che una recente legge
ha vietato l’uso degli odiosi sacchetti di plastica, che invadono ormai anche
tutte le città africane. Qui la legge viene rispettata ! Incontriamo
prigionieri che lavorano gratis nelle numerose risaie. E poi dicono che questi
sono paesi sottosviluppati!
Murunda [modifica]
Fuori Kigali, oltrepassata Ghitarama sede di un
carcere, la strada diventa sterrata e cominciamo a salire fino ai 2700 metri di
Murunda. Purtroppo nel buio non possiamo apprezzare le bellezze del posto e
l’incantevole lago Kivu con le sue mille propaggini sull’acqua ricoperte da
alberi di banano. Il profumo di eucalipto è fortissimo, le foglie di questo
albero sembrano fosforescenti appena vengono illuminate dai fari. Eugene guida
con sicurezza, cantando a squarciagola con la segretaria, hanno il volume della
radio al massimo, come sovente succede in Africa.
Attraversiamo un tratto di
strada dove i lavoratori sono ancora all’opera, ma è mezzanotte passata. A
Piero pare strano che abbiano deciso di costruire un ospedale in un posto
simile! Anche se siamo stanchi, siamo ancora svegli perché entusiasti ed
ammaliati dal posto. Arriviamo nel cortile dell’ospedale all’una e mezza. Due
giovani preti ci stanno aspettando, ci indicano le camere; dopo qualche minuto
cominciano i russamenti. Il giorno successivo, un bellissimo sole caldo ci
accoglie a colazione, sul tavolo la frutta locale è immancabile. Roberto per
problemi di linea la evita, Piero ed io invece assaggiamo ogni tipo di frutta.
Visitiamo la scuola proprio nel momento di ricreazione.
Gli insegnanti radunano
i bambini nell’ampio cortile. Saranno qualche centinaio, ognuno con la sua
divisa. Intonano un breve canto di benvenuto, mi dicono di dire qualche cosa in
inglese. Sono molto attenti, capiscono bene le mie parole e sorridono contenti.
L’ospedale è una nuova costruzione prevalentemente ostetrico-pediatrica, perché
anche qui la mortalità perinatale è alta, ma ora sembra in forte calo. Dopo
pranzo ci accordiamo con suor Giampaola che ci sta aspettando a Butare, dove
avevo lavorato negli anni della guerra civile.
L’incontro al buio davanti alla
cattedrale è commovente, lei non è per nulla cambiata. È lì dalla fine della
guerra, non si è mai spostata. Appena entriamo nella missione, veniamo accolti
da un rullio di tamburi e gioiosi canti delle novizie; rimaniamo commossi, che
bella sorpresa! Buona cena preparata con cura dalle suore, ricordiamo i tempi
andati; Roberto e Piero si informano sulle varie attività della missione, che
cura bambini abbandonati e dà loro un’istruzione con tanto amore. Ho voglia di
rivedere il villaggio di Gatare ad oltre 2600 metri nel cui ospedale avevo
anche lavorato con l’amico Vincenzo. Suor Giampaola accetta di portarci domani
mattina, se il tempo lo permette, nella notte è piovuto, la strada è sterrata
ed attraversa una bellissima ma infida foresta. Saggiamente la suora dopo cena
ci accompagna nella stanza. Dormiamo di sasso.
Terminata colazione, con l'autista e la suora andiamo
a Gatare. È una bellissima località, appollaiata fra alte colline coltivate a
terrazzamenti. Pur essendo ad oltre 2600 metri, non si avverte freddo perché
siamo a due gradi a sud dell’Equatore. Si alternano le coltivazioni di mais,
patate, tè e banane. Anche qui panorami da mozzare il fiato. Roberto ripete che
vuole tornare con la moglie, anzi mi chiede che vorrebbe tornare con me ed
assistermi nelle visite come pseudoinfermiere.
Anche qui tutto è cambiato,
faccio difficoltà a riconoscere i posti; hanno costruito altre strutture. I
bambini però ci sono sempre. Abbiamo portato loro palline da tennis che ha
recuperato Roberto. Loro sono contenti, anche quelli che non hanno niente.
Scherziamo volentieri con i bambini, si dimostrano interessati alla nostra
presenza. Visitiamo l’ospedale ed incontro con molto piacere lo stesso
infermiere con cui avevo lavorato nel 1995.
Dopo pranzo ritorniamo a Butare. Facciamo visita al
memoriale, situato in un vasto campo che ci fa ricordare il tremendo genocidio.
Più in là incontriamo anche un grande campo profughi gestito dall’alto
commissariato Onu per i rifugiati. Che cosa strana: il Ruanda è una nazione
molto povera, con mille problemi, ma ospita un enorme campo profughi che
ricopre una grande collina. La sera mio fratello Gian Carlo ci avverte che da
Torino sono pronti per la diretta radiofonica. É sempre un piacere sentire
l’aria di casa, per fortuna mi ricordo di fare gli auguri a mia moglie per la
festa del quattordici Febbraio; evito così i rimproveri dell'intervistatrice
Stefania, già avuti in passato.
Il mattino dopo con la suora andiamo in una
cooperativa, dove alcuni artigiani di vari villaggi vendono manufatti in legno
o vimini. Ne acquistiamo un congruo numero specie Roberto, che venderà poi ai
mercatini della sua ONLUS Ampelos di Alba, che realizza diversi progetti in
Etiopia ed Eritrea. Per pranzo c’è una sorpresa: suor Giampaola ci offre un
delizioso pranzo in un locale caratteristico di Kigali. Roberto, da ottimo
cuoco, apprezza molto il pesce di lago che gli viene servito.
É giunta l’ora di salutarci; abbracciamo la suora per
le tante cortesie avute nei nostri riguardi. Ci regala cartoline del Ruanda. La
sua auto sparisce nel traffico cittadino, non prima però di averci accompagnato
ad un centro di religiosi dove possiamo trascorrere il pomeriggio riposandoci
in camera. Nella tarda serata con taxi già prenotato dalla suora, arriviamo
all'aeroporto; qui cominceranno i pignoli controlli del bagaglio effettuati
anche con cani, che si concluderanno alla dogana. Ancora qualche piccola spesa
e poi saliamo sull'aereo che ci riporterà a casa.
Come sempre è stato un viaggio faticoso, che ha messo
a dura prova il nostro carattere. Abbiamo comunque fatto un’esperienza che non
dimenticheremo. Il mio grazie va agli amici che hanno partecipato, condividendo
le gioie ed i dolori, a coloro che ci hanno aiutato ed ai giornalisti che ci hanno permesso di
fare conoscere queste cose. Grazie a tutti! Pier Luigi presidente Onlus CIS.
La pubblicazione di questo articolo è stata autorizzata dalla comunità di Wikinotizie. Vedi discussioni
Il viaggio umanitario del CIS (Cooperazione italiana
solidarietà) di quest’anno consisterà nel portare ambulanza, ecocardiografo e
materiale sanitario più land rover a tre ospedali in: Kenia, Sud Sudan, Ruanda.
Arrivati a Mombasa in piena notte, al controllo
doganale il personale ci avverte che i pacchi di farmaci portati verranno
confiscati perché illegali. Bisogna avere una speciale autorizzazione
ministeriale. L’addetto si ammorbidisce di fronte a due bottiglie di vino.
Purtroppo dobbiamo aspettare un’ora decente per andare dalle suore della
Consolata a sistemare gli zaini ed il bagaglio. Poco dopo eccoci all’agenzia
che si occupa dello sdoganamento, purtroppo è situata nell’isola; per
raggiungerla dobbiamo fare una lunga fila in attesa del traghetto. Per
l’attraversamento di un brevissimo braccio di mare impieghiamo ogni giorno
oltre un’ora.
Capisco subito che l’agenzia scelta lascia molto a desiderare come impegno e serietà : promette mare e monti, poi invece dobbiamo aspettare otto giorni per lo sdoganamento dei mezzi. Uno dei tre compagni impazientito riparte da solo dopo qualche giorno di attesa. Piero R. e Roberto R. invece accettano pazientemente di attendere i mezzi. Suor Maria Antonia, intraprendente ed onnipresente madre superiora, è attenta ad ogni nostra richiesta pur essendo oberata da mille impegni: l’ospedale, l’ambulatorio, la scuola materna, la gestione della missione.
Monsignor Bertin vescovo di Mogadiscio, attualmente a Gibuti, mi ha dato un ottimo consiglio indirizzandomi a questa missione. La suora, come anche il prelato, erano stati a Mogadiscio negli anni di guerra e terrorismo. Decido di lasciare il mio ecocardiografo preso con Roberto a Vienna grazie alla generosità dell’ingegner Zeller Wolfgang, lì alla missione, in attesa che venga portato a circa mille chilometri a nord in un ospedale bisognoso ( Wamba ). Non abbiamo capito perché la dogana abbia parcheggiato l’ambulanza in una zona del porto distante parecchi chilometri da dove è stato lasciato il land rover.
Con molta pazienza riusciamo a recuperare i due mezzi ed a partire nel pomeriggio. La suora insiste a darci una guida che ci accompagnerà fino a Nairobi e che poi si rivelerà di nessun aiuto. Usciti dal porto imbocchiamo la strada per Nairobi, che qui chiamano autostrada ma per noi non lo è; è molto trafficata da autocarri specie in quest’ora dove, alla periferia nord est, dovrebbe attenderci all’ospedale Neema Ruaraka il dr. Morino Gianfranco, fondatore dello stesso nosocomio, che vi lavora da oltre venticinque anni. Ci ha riservato una stanza per ognuno.
Per il traffico caotico e pericoloso specie di notte, dobbiamo saltare questa tappa perché la nostra media oraria non ci permette di andare più forte. Questa prima notte, di comune accordo dormiamo in auto, aggiustandoci come possiamo, il nostro accompagnatore si sistema bene in ambulanza, mentre Roberto e Piero dormono seduti. Il pomeriggio successivo siamo a Nakuru, grande città a nord di Nairobi sulla direttiva per Kampala.
Capisco subito che l’agenzia scelta lascia molto a desiderare come impegno e serietà : promette mare e monti, poi invece dobbiamo aspettare otto giorni per lo sdoganamento dei mezzi. Uno dei tre compagni impazientito riparte da solo dopo qualche giorno di attesa. Piero R. e Roberto R. invece accettano pazientemente di attendere i mezzi. Suor Maria Antonia, intraprendente ed onnipresente madre superiora, è attenta ad ogni nostra richiesta pur essendo oberata da mille impegni: l’ospedale, l’ambulatorio, la scuola materna, la gestione della missione.
Monsignor Bertin vescovo di Mogadiscio, attualmente a Gibuti, mi ha dato un ottimo consiglio indirizzandomi a questa missione. La suora, come anche il prelato, erano stati a Mogadiscio negli anni di guerra e terrorismo. Decido di lasciare il mio ecocardiografo preso con Roberto a Vienna grazie alla generosità dell’ingegner Zeller Wolfgang, lì alla missione, in attesa che venga portato a circa mille chilometri a nord in un ospedale bisognoso ( Wamba ). Non abbiamo capito perché la dogana abbia parcheggiato l’ambulanza in una zona del porto distante parecchi chilometri da dove è stato lasciato il land rover.
Con molta pazienza riusciamo a recuperare i due mezzi ed a partire nel pomeriggio. La suora insiste a darci una guida che ci accompagnerà fino a Nairobi e che poi si rivelerà di nessun aiuto. Usciti dal porto imbocchiamo la strada per Nairobi, che qui chiamano autostrada ma per noi non lo è; è molto trafficata da autocarri specie in quest’ora dove, alla periferia nord est, dovrebbe attenderci all’ospedale Neema Ruaraka il dr. Morino Gianfranco, fondatore dello stesso nosocomio, che vi lavora da oltre venticinque anni. Ci ha riservato una stanza per ognuno.
Per il traffico caotico e pericoloso specie di notte, dobbiamo saltare questa tappa perché la nostra media oraria non ci permette di andare più forte. Questa prima notte, di comune accordo dormiamo in auto, aggiustandoci come possiamo, il nostro accompagnatore si sistema bene in ambulanza, mentre Roberto e Piero dormono seduti. Il pomeriggio successivo siamo a Nakuru, grande città a nord di Nairobi sulla direttiva per Kampala.
Avremmo dovuto andare a Giuba in sud Sudan dai
salesiani che gestiscono una missione dove accolgono bambini abbandonati ed
orfani. Purtroppo, pur avendo i visti d’ingresso dobbiamo malvolentieri
rinunciarvi, i lunghi tempi di attesa alle frontiere rallentano la marcia.
Molto probabilmente per un disguido l'ambasciata africana ha registrato un solo
ingresso per l'Uganda, per cui se fossimo usciti, non saremmo più potuti
rientrare per andare in Ruanda.
Per consegnare il land rover mi accordo con la
missione salesiana di Bombo vicino Kampala, dove purtroppo per motivi che non
capisco, uno di noi alla guida dell’ambulanza decide di non arrivare,
fermandosi in un hotel prima della tappa prevista. La stanchezza e l’orgoglio
fanno sempre dei brutti scherzi ! Guidare su queste strade è molto
pericoloso: i nostri mezzi hanno il volante a sinistra mentre qui la guida è a
sinistra e quindi si sorpassa sulla destra; se si è da soli è praticamente
impossibile fare la manovra; di notte diversi camionisti guidano a fari spenti
e velocità sostenuta.
In corrispondenza dei villaggi si incontrano numerosi dossi come dissuasori di velocità, che se vengono superati andando forte, rappresentano un serio pericolo per le sospensioni e le gomme; per non parlare poi delle persone che camminano con i bambini lungo le strade. Ai lati della carreggiata non sono rari camion rovesciati, le capre e le mucche maciullate sull’asfalto non si contano. I vigili sono inflessibili, uno di noi deve pagare una multa per eccesso di velocità.
É importante guidare controllandoci sempre a vista, ma questo semplice consiglio non viene messo in pratica da tutti. Altra regola fondamentale per non perdersi è avere ognuno il recapito telefonico dell’altro, quando si cambia la scheda telefonica con quella del posto, bisogna che tutti aggiornino il nuovo numero. Purtroppo non tutti vogliono cambiare la scheda; con quella italiana non si può comunicare dall’estero con utenti che abbiano la scheda locale. Far capire queste cose a certe persone è praticamente impossibile.
Dopo un giorno, recuperato l’amico che si era staccato e superata Kampala riprendiamo tutti e tre il viaggio. In questa città, capitale dell’Uganda avremmo dovuto incontrare il nostro ambasciatore dottor Fornara conosciuto anni fa a Dakar e che ci aspettava volentieri; volevo portargli una buona bottiglia di vino ed il mio libro sui viaggi; purtroppo anche qui siamo in ritardo sulla tabella di marcia per la sosta forzata in città, poi è giorno festivo e le ambasciate sono chiuse. Dopo due ore di viaggio arriviamo a Masaka. Siamo stanchi e tesi, ma dopo qualche ora di riposo ed un ‘ottima cenetta ritorna la serenità.
In corrispondenza dei villaggi si incontrano numerosi dossi come dissuasori di velocità, che se vengono superati andando forte, rappresentano un serio pericolo per le sospensioni e le gomme; per non parlare poi delle persone che camminano con i bambini lungo le strade. Ai lati della carreggiata non sono rari camion rovesciati, le capre e le mucche maciullate sull’asfalto non si contano. I vigili sono inflessibili, uno di noi deve pagare una multa per eccesso di velocità.
É importante guidare controllandoci sempre a vista, ma questo semplice consiglio non viene messo in pratica da tutti. Altra regola fondamentale per non perdersi è avere ognuno il recapito telefonico dell’altro, quando si cambia la scheda telefonica con quella del posto, bisogna che tutti aggiornino il nuovo numero. Purtroppo non tutti vogliono cambiare la scheda; con quella italiana non si può comunicare dall’estero con utenti che abbiano la scheda locale. Far capire queste cose a certe persone è praticamente impossibile.
Dopo un giorno, recuperato l’amico che si era staccato e superata Kampala riprendiamo tutti e tre il viaggio. In questa città, capitale dell’Uganda avremmo dovuto incontrare il nostro ambasciatore dottor Fornara conosciuto anni fa a Dakar e che ci aspettava volentieri; volevo portargli una buona bottiglia di vino ed il mio libro sui viaggi; purtroppo anche qui siamo in ritardo sulla tabella di marcia per la sosta forzata in città, poi è giorno festivo e le ambasciate sono chiuse. Dopo due ore di viaggio arriviamo a Masaka. Siamo stanchi e tesi, ma dopo qualche ora di riposo ed un ‘ottima cenetta ritorna la serenità.
Il giorno dopo siamo in Ruanda, tappa finale
l’ospedale di Murunda vicino al lago Kivu. Per le solite lungaggini
burocratiche dobbiamo aspettare circa otto ore in dogana. Ci raggiunge come
previsto il dottor Eugene, direttore sanitario dell’ospedale dove è destinata
l’ambulanza. A sorpresa i doganieri ci avvertono che sotto il sedile di guida
dell’ambulanza, alla dogana di Mombasa ci era stato messo un registratore per
controllarci durante l’attraversamento del Kenia. Peccato che non ce lo abbiano
detto! Ora fanno storie per questo problema, che hanno creato i loro colleghi
di Mombasa!
È quasi buio quando usciamo dalla dogana con l’ambulanza ed il fuoristrada di Eugene. Avevo prenotato il pernottamento dai salesiani di Kigali, la capitale, ma il dottore ci consiglia di andare direttamente all’ospedale. Noi invece avevamo pensato di ripartire il giorno successivo. Siamo a stomaco vuoto, avendo saltato pranzo. Insisto per fermarci per cena. Il Dottore ci offre la cena presso una missione di suore tedesche di Kigali. Per fortuna che in Ruanda la guida è a destra, Roberto manovra l’ambulanza con maggior sicurezza.
Dopo cena dobbiamo andare alla dogana centrale e lasciare il mezzo in attesa che siano espletate le lunghe procedure doganali. Staccate le targhe da consegnare poi all’ACI in Italia e fatte le foto di rito, Eugene con la sua segretaria ci fa salire sul suo fuori strada. Roberto prende posto davanti, mentre noi con la signora ci sistemiamo dietro. Accettiamo di andare direttamente a Murunda, abbiamo così recuperato un giorno. Kigali di notte è bellissima, con tutte le sue mille luci adagiata sulle colline.
Rispetto al 1994 tutto è cambiato, le persone camminano tranquille, in una città pulita ed ordinata, sembra di essere in Svizzera ! Eppure siamo nel cuore dell’Africa, dopo circa 20 anni dalla tremenda guerra civile che è costata alla popolazione oltre un milione di morti, oltre a qualche milione di profughi. Le stesse case di periferia sono pulite ed ordinate, non come si vede in altre grandi città africane; non vediamo nessuno fumare, è considerata maleducazione farsi vedere con la sigaretta in mano. Ci dicono inoltre che una recente legge ha vietato l’uso degli odiosi sacchetti di plastica, che invadono ormai anche tutte le città africane. Qui la legge viene rispettata ! Incontriamo prigionieri che lavorano gratis nelle numerose risaie. E poi dicono che questi sono paesi sottosviluppati!
È quasi buio quando usciamo dalla dogana con l’ambulanza ed il fuoristrada di Eugene. Avevo prenotato il pernottamento dai salesiani di Kigali, la capitale, ma il dottore ci consiglia di andare direttamente all’ospedale. Noi invece avevamo pensato di ripartire il giorno successivo. Siamo a stomaco vuoto, avendo saltato pranzo. Insisto per fermarci per cena. Il Dottore ci offre la cena presso una missione di suore tedesche di Kigali. Per fortuna che in Ruanda la guida è a destra, Roberto manovra l’ambulanza con maggior sicurezza.
Dopo cena dobbiamo andare alla dogana centrale e lasciare il mezzo in attesa che siano espletate le lunghe procedure doganali. Staccate le targhe da consegnare poi all’ACI in Italia e fatte le foto di rito, Eugene con la sua segretaria ci fa salire sul suo fuori strada. Roberto prende posto davanti, mentre noi con la signora ci sistemiamo dietro. Accettiamo di andare direttamente a Murunda, abbiamo così recuperato un giorno. Kigali di notte è bellissima, con tutte le sue mille luci adagiata sulle colline.
Rispetto al 1994 tutto è cambiato, le persone camminano tranquille, in una città pulita ed ordinata, sembra di essere in Svizzera ! Eppure siamo nel cuore dell’Africa, dopo circa 20 anni dalla tremenda guerra civile che è costata alla popolazione oltre un milione di morti, oltre a qualche milione di profughi. Le stesse case di periferia sono pulite ed ordinate, non come si vede in altre grandi città africane; non vediamo nessuno fumare, è considerata maleducazione farsi vedere con la sigaretta in mano. Ci dicono inoltre che una recente legge ha vietato l’uso degli odiosi sacchetti di plastica, che invadono ormai anche tutte le città africane. Qui la legge viene rispettata ! Incontriamo prigionieri che lavorano gratis nelle numerose risaie. E poi dicono che questi sono paesi sottosviluppati!
Murunda [modifica]
Fuori Kigali, oltrepassata Ghitarama sede di un carcere, la strada diventa sterrata e cominciamo a salire fino ai 2700 metri di Murunda. Purtroppo nel buio non possiamo apprezzare le bellezze del posto e l’incantevole lago Kivu con le sue mille propaggini sull’acqua ricoperte da alberi di banano. Il profumo di eucalipto è fortissimo, le foglie di questo albero sembrano fosforescenti appena vengono illuminate dai fari. Eugene guida con sicurezza, cantando a squarciagola con la segretaria, hanno il volume della radio al massimo, come sovente succede in Africa.
Attraversiamo un tratto di strada dove i lavoratori sono ancora all’opera, ma è mezzanotte passata. A Piero pare strano che abbiano deciso di costruire un ospedale in un posto simile! Anche se siamo stanchi, siamo ancora svegli perché entusiasti ed ammaliati dal posto. Arriviamo nel cortile dell’ospedale all’una e mezza. Due giovani preti ci stanno aspettando, ci indicano le camere; dopo qualche minuto cominciano i russamenti. Il giorno successivo, un bellissimo sole caldo ci accoglie a colazione, sul tavolo la frutta locale è immancabile. Roberto per problemi di linea la evita, Piero ed io invece assaggiamo ogni tipo di frutta. Visitiamo la scuola proprio nel momento di ricreazione.
Gli insegnanti radunano i bambini nell’ampio cortile. Saranno qualche centinaio, ognuno con la sua divisa. Intonano un breve canto di benvenuto, mi dicono di dire qualche cosa in inglese. Sono molto attenti, capiscono bene le mie parole e sorridono contenti. L’ospedale è una nuova costruzione prevalentemente ostetrico-pediatrica, perché anche qui la mortalità perinatale è alta, ma ora sembra in forte calo. Dopo pranzo ci accordiamo con suor Giampaola che ci sta aspettando a Butare, dove avevo lavorato negli anni della guerra civile.
L’incontro al buio davanti alla cattedrale è commovente, lei non è per nulla cambiata. È lì dalla fine della guerra, non si è mai spostata. Appena entriamo nella missione, veniamo accolti da un rullio di tamburi e gioiosi canti delle novizie; rimaniamo commossi, che bella sorpresa! Buona cena preparata con cura dalle suore, ricordiamo i tempi andati; Roberto e Piero si informano sulle varie attività della missione, che cura bambini abbandonati e dà loro un’istruzione con tanto amore. Ho voglia di rivedere il villaggio di Gatare ad oltre 2600 metri nel cui ospedale avevo anche lavorato con l’amico Vincenzo. Suor Giampaola accetta di portarci domani mattina, se il tempo lo permette, nella notte è piovuto, la strada è sterrata ed attraversa una bellissima ma infida foresta. Saggiamente la suora dopo cena ci accompagna nella stanza. Dormiamo di sasso.
Fuori Kigali, oltrepassata Ghitarama sede di un carcere, la strada diventa sterrata e cominciamo a salire fino ai 2700 metri di Murunda. Purtroppo nel buio non possiamo apprezzare le bellezze del posto e l’incantevole lago Kivu con le sue mille propaggini sull’acqua ricoperte da alberi di banano. Il profumo di eucalipto è fortissimo, le foglie di questo albero sembrano fosforescenti appena vengono illuminate dai fari. Eugene guida con sicurezza, cantando a squarciagola con la segretaria, hanno il volume della radio al massimo, come sovente succede in Africa.
Attraversiamo un tratto di strada dove i lavoratori sono ancora all’opera, ma è mezzanotte passata. A Piero pare strano che abbiano deciso di costruire un ospedale in un posto simile! Anche se siamo stanchi, siamo ancora svegli perché entusiasti ed ammaliati dal posto. Arriviamo nel cortile dell’ospedale all’una e mezza. Due giovani preti ci stanno aspettando, ci indicano le camere; dopo qualche minuto cominciano i russamenti. Il giorno successivo, un bellissimo sole caldo ci accoglie a colazione, sul tavolo la frutta locale è immancabile. Roberto per problemi di linea la evita, Piero ed io invece assaggiamo ogni tipo di frutta. Visitiamo la scuola proprio nel momento di ricreazione.
Gli insegnanti radunano i bambini nell’ampio cortile. Saranno qualche centinaio, ognuno con la sua divisa. Intonano un breve canto di benvenuto, mi dicono di dire qualche cosa in inglese. Sono molto attenti, capiscono bene le mie parole e sorridono contenti. L’ospedale è una nuova costruzione prevalentemente ostetrico-pediatrica, perché anche qui la mortalità perinatale è alta, ma ora sembra in forte calo. Dopo pranzo ci accordiamo con suor Giampaola che ci sta aspettando a Butare, dove avevo lavorato negli anni della guerra civile.
L’incontro al buio davanti alla cattedrale è commovente, lei non è per nulla cambiata. È lì dalla fine della guerra, non si è mai spostata. Appena entriamo nella missione, veniamo accolti da un rullio di tamburi e gioiosi canti delle novizie; rimaniamo commossi, che bella sorpresa! Buona cena preparata con cura dalle suore, ricordiamo i tempi andati; Roberto e Piero si informano sulle varie attività della missione, che cura bambini abbandonati e dà loro un’istruzione con tanto amore. Ho voglia di rivedere il villaggio di Gatare ad oltre 2600 metri nel cui ospedale avevo anche lavorato con l’amico Vincenzo. Suor Giampaola accetta di portarci domani mattina, se il tempo lo permette, nella notte è piovuto, la strada è sterrata ed attraversa una bellissima ma infida foresta. Saggiamente la suora dopo cena ci accompagna nella stanza. Dormiamo di sasso.
Terminata colazione, con l'autista e la suora andiamo
a Gatare. È una bellissima località, appollaiata fra alte colline coltivate a
terrazzamenti. Pur essendo ad oltre 2600 metri, non si avverte freddo perché
siamo a due gradi a sud dell’Equatore. Si alternano le coltivazioni di mais,
patate, tè e banane. Anche qui panorami da mozzare il fiato. Roberto ripete che
vuole tornare con la moglie, anzi mi chiede che vorrebbe tornare con me ed
assistermi nelle visite come pseudoinfermiere.
Anche qui tutto è cambiato, faccio difficoltà a riconoscere i posti; hanno costruito altre strutture. I bambini però ci sono sempre. Abbiamo portato loro palline da tennis che ha recuperato Roberto. Loro sono contenti, anche quelli che non hanno niente. Scherziamo volentieri con i bambini, si dimostrano interessati alla nostra presenza. Visitiamo l’ospedale ed incontro con molto piacere lo stesso infermiere con cui avevo lavorato nel 1995.
Anche qui tutto è cambiato, faccio difficoltà a riconoscere i posti; hanno costruito altre strutture. I bambini però ci sono sempre. Abbiamo portato loro palline da tennis che ha recuperato Roberto. Loro sono contenti, anche quelli che non hanno niente. Scherziamo volentieri con i bambini, si dimostrano interessati alla nostra presenza. Visitiamo l’ospedale ed incontro con molto piacere lo stesso infermiere con cui avevo lavorato nel 1995.
Dopo pranzo ritorniamo a Butare. Facciamo visita al
memoriale, situato in un vasto campo che ci fa ricordare il tremendo genocidio.
Più in là incontriamo anche un grande campo profughi gestito dall’alto
commissariato Onu per i rifugiati. Che cosa strana: il Ruanda è una nazione
molto povera, con mille problemi, ma ospita un enorme campo profughi che
ricopre una grande collina. La sera mio fratello Gian Carlo ci avverte che da
Torino sono pronti per la diretta radiofonica. É sempre un piacere sentire
l’aria di casa, per fortuna mi ricordo di fare gli auguri a mia moglie per la
festa del quattordici Febbraio; evito così i rimproveri dell'intervistatrice
Stefania, già avuti in passato.
Il mattino dopo con la suora andiamo in una cooperativa, dove alcuni artigiani di vari villaggi vendono manufatti in legno o vimini. Ne acquistiamo un congruo numero specie Roberto, che venderà poi ai mercatini della sua ONLUS Ampelos di Alba, che realizza diversi progetti in Etiopia ed Eritrea. Per pranzo c’è una sorpresa: suor Giampaola ci offre un delizioso pranzo in un locale caratteristico di Kigali. Roberto, da ottimo cuoco, apprezza molto il pesce di lago che gli viene servito.
Il mattino dopo con la suora andiamo in una cooperativa, dove alcuni artigiani di vari villaggi vendono manufatti in legno o vimini. Ne acquistiamo un congruo numero specie Roberto, che venderà poi ai mercatini della sua ONLUS Ampelos di Alba, che realizza diversi progetti in Etiopia ed Eritrea. Per pranzo c’è una sorpresa: suor Giampaola ci offre un delizioso pranzo in un locale caratteristico di Kigali. Roberto, da ottimo cuoco, apprezza molto il pesce di lago che gli viene servito.
É giunta l’ora di salutarci; abbracciamo la suora per
le tante cortesie avute nei nostri riguardi. Ci regala cartoline del Ruanda. La
sua auto sparisce nel traffico cittadino, non prima però di averci accompagnato
ad un centro di religiosi dove possiamo trascorrere il pomeriggio riposandoci
in camera. Nella tarda serata con taxi già prenotato dalla suora, arriviamo
all'aeroporto; qui cominceranno i pignoli controlli del bagaglio effettuati
anche con cani, che si concluderanno alla dogana. Ancora qualche piccola spesa
e poi saliamo sull'aereo che ci riporterà a casa.
Come sempre è stato un viaggio faticoso, che ha messo
a dura prova il nostro carattere. Abbiamo comunque fatto un’esperienza che non
dimenticheremo. Il mio grazie va agli amici che hanno partecipato, condividendo
le gioie ed i dolori, a coloro che ci hanno aiutato ed ai giornalisti che ci hanno permesso di
fare conoscere queste cose. Grazie a tutti! Pier Luigi presidente Onlus CIS.
Da WIKINOTIZIE
25 Aprile 2019
Viaggio umanitario del CIS in Armenia
Da WIKINOTIZIE
25 Aprile 2019
Viaggio umanitario del CIS in Armenia
Goreme: Camera scavata dentro un pinnacolo di tufo |
Partenza
Ennesimo viaggio umanitario del CIS,
questa volta in Georgia e Armenia. Mio cognato Vittorio, mio fratello Gian
Carlo ed io, abbiamo guidato ambulanza, carica di vestiario con qualche
apparecchiatura medica della Bonini, da Canelli (AT) fino alla Georgia; bevuto
il tradizionale caffè all'ospedale di Nizza Monferrato, preparato dalle mie ex
e brave infermiere.
Grecia
In serata imbarco a Brindisi per
Igoumenitsa in Grecia; sul traghetto, scambiamo qualche parola con un folto
gruppo di liceali di Catania, in gita. Si arriva all’alba con proseguimento su
autostrada fino ad Ipsala,Turchia. Nota simpatica: per tutto il lungo tratto
autostradale greco, non abbiamo pagato il pedaggio; cosa mai successa in
Italia! E' stato simpatico vedere le ragazze dei caselli telefonarsi appena ci
scorgevano; dopo un po', capita l'antifona, ci consegnavano subito il
biglietto, senza farci attendere per i soliti controlli della targa,
salutandoci con un largo sorriso.
Turchia
Istanbul: tunnel sotto lo stretto del Bosforo del mar Nero |
Alla frontiera turca, per loro ritardi
burocratici, siamo costretti a dormire la notte in ambulanza bloccata in
dogana;fa molto freddo e non possiamo accendere il motore per far funzionare il
riscaldamento. Arriviamo quindi ad Istanbul nella tarda serata del terzo
giorno, essendo partiti dalla dogana turca alle 20,30.In questa metropoli con
oltre 15 milioni di abitanti, traffico intenso seppur regolare. Anche qui altra
nota simpatica: arrivando verso mezzanotte, il portiere di un hotel, non dove abbiamo
prenotato, sapendo che veniamo dall’ Italia, si fa in mille per offrirci
un’ottima ospitalità con caffè, thè e pasticcini. Si offre anche di guardarci
il mezzo per tutto il suo turno notturno, rifiutando ogni compenso. Insistiamo
per lasciargli del vino di Canelli. Grazie al navigatore del cellulare di Gian
Carlo troviamo l’hotel in breve tempo.
Mio fratello, nella fase di preparazione
del viaggio, aveva domandato se si potesse passare da Goreme in Cappadocia. Sui
primi non ero d’accordo, per non allungare il viaggio, poi ho finito con l’
accettare, ed ora non me ne pento perché è stata la tappa più bella. Dal centro
di Sultanahmet un’ottima autostrada attraversa il Bosforo correndo sotto il
mare. In breve si raggiunge la Turchia asiatica ed Ankara, moderna città
fondata da Ataturk. La visita di Goreme ci fa restare col fiato sospeso, anche
se la raggiungiamo che è ormai buio. Pernottamento in una camera ricavata
dentro uno degli innumerevoli pinnacoli di tufo che conferiscono al luogo un’
atmosfera fiabesca. Appena arrivati, per la stanchezza dimentico la cartella
con tutti i documenti doganali, sopra una panchina vicino l’ambulanza. Gian
Carlo propone di cenare fuori, purtroppo però al rientro in hotel, ci perdiamo
nei mille anfratti del centro; le persone incontrate, cui ci rivolgiamo, sono
tutte turiste, e non sanno aiutarci, persino una coppia di Lecce, tenta invano
di trovare il nostro hotel.
A quell’ ora, i locali dormono; per caso
vediamo l’ambulanza parcheggiata in una piazzetta, siamo salvi! Sul parabrezza
dell'ambulanza, bloccata dal tergicristallo, troviamo la cartellina con tutti i
documenti doganali. Non siamo proprio in Italia! A colazione facciamo la
conoscenza di una simpatica coppia greca trentenne che, partita da Atene in
bicicletta, vuole arrivare vicino alla Cina in circa 6 mesi, per poi tornare
indietro. Certo che, sia la ragazza che il suo accompagnatore hanno il fisico
longilineo e tanto tempo da girare! Il mattino dopo partiamo per Trebisonda,
sul mar Nero. Ci arriviamo in nottata saltando anche qui cena. Unico
imprevisto, un valico ad oltre duemila metri, non ben segnato sulla cartina e
che ci accoglie ammantato di neve.
Sembra di essere sullo Stelvio, con muri
di neve ai lati della strada, non passa nessuno, c’è nebbia e tanto buio, ma
almeno la strada è ben percorribile. Ci vengono in mente tristi pensieri, ma
non lo diciamo; se avessimo un guasto meccanico? Meglio non pensarci. In questo
tratto di strada non facile, ha guidato Vittorio, con grande maestria.
Ripartiamo il mattino successivo da Trebisonda alle sette, piove.
Abbiamo fatto di tutto per rispettare i
tempi, infatti alle 10 siamo in
dogana. Superiamo una lunga fila di camion e
dopo un’ora di controlli, entriamo in Georgia. Qui l’attesa è snervante; il personale
si lamenta di qualche bottiglia di vino di troppo e di due borse di vestiti
usati non dichiarati sulla lista. Pesano e controllano minuziosamente tutto.
Non resisto più alle loro lungaggini, sbotto arrabbiato; mi sono accorto che i
numerosi pulmann stranieri vengono sdoganati in breve tempo, mentre noi siamo
ancora lì fermi. Forse qualcuno si è mosso, cercano di calmarmi! Sono stanco e stufo!
Possibile che anche dopo aver portato loro una ottima ambulanza della
Aricar-Olmedo, colma di vestiti nuovi tranne quei due pacchi, ed aver regalato
loro il tutto, siano ancora lì a rimproverarci per delle inezie? Con tutto
quello che abbiamo passato, possibile che non ci sia nessuno con un po’ di buon
senso? No, non c’è!
Dopo oltre 3-4 ore ripartiamo, ma ci
vogliono sigillare il carico. Vittorio e Gian Carlo cercano in mille modi di
chiudere la porticina scorrevole fra il posto guida e la zona posteriore
dell’ambulanza.
I doganieri insistono di chiuderla per
poterci piombare il carico, per fortuna risolviamo poi il problema. Per i
prossimi ed ultimi 400 km, dovremmo rassegnarci a viaggiare così, uno seduto a
turno sugli zaini, sperando che la polizia non ci fermi! Pazienza, siamo quasi
arrivati. Appena entrati in Georgia, a Batumi, ridente località sul mar Nero,
Vittorio acquista una sim card per telefonare a casa con il suo cellulare;
finalmente riesce a fare una telefonata, ma dopo pranzo quando ripartiamo,
tenta di riparlare ancora con casa, la scheda è scarica, lui si stupisce, noi
no, perché non essendo abituato, Vittorio fa delle telefonate fiume, pensando
di essere in Italia.
Qui in Georgia le strade sono pessime,
con numerose buche; Vittorio, neofilo di questi viaggi, si stupisce di trovare
sulla strada mucche, capre, cani, che girano senza alcun padrone. Negli ultimi
50-60 km c’è anche l’autostrada. Verso le undici di sera siamo a Tbilisi;
contatto David, che ci viene incontro per scortarci alla Caritas della città,
capitale della Georgia, dove lavora come coordinatore. Finalmente arrivati!
Siamo contenti. A quest’ora negli uffici non c’è più nessuno, ma David ci offre
un caffè caldo con biscotti. Siamo più stanchi che affamati, in breve ci
addormentiamo nelle accoglienti e calde camere che ci hanno preparato, non
prima però di avvertire le nostre famiglie dell’arrivo. Il mattino alle 8,30
siamo già svegli e pimpanti negli uffici, dove incontriamo il personale
addetto, e con cui facciamo colazione; rivedo volentieri la mamma di David, onnipresente ed attenta impiegata della Caritas.
Per un mio incauto salire le scale
carico di pacchi, urto violentemente il capo contro uno spigolo, faccio
difficoltà a fermare l’emorragia, devo applicare un antiestetico cerotto. Per
pranzo viene a prenderci la Direttrice della Caritas signora Anhait Mkhoyan che
ci ringrazia per quanto abbiamo portato e ci invita a pranzo. Ci servono anche
un fagottino di pasta ripieno di carne e verdure che galleggiano nel brodo, non
è facile mangiarlo senza sbrodolarsi, ma è molto buono. La sera è la volta del
mitico padre Witold, che viene a prenderci per portarci a cena in un elegante
ristorante. I due giorni successivi li trascorriamo visitando le varie attività
della Caritas, con una breve ed interessante visita, organizzata da padre
Witold all’antica capitale Mtshketa poco fuori città.
Il padre, è un personaggio in Georgia, e
non solo lì. Grande amico di papa Woityla, segretario per anni del nunzio,
poliglotta, polacco di nascita, ha diretto per 18 anni la Caritas a Tbilisi,
aprendo: una panetteria, inaugurata dall’allora presidente della nazione
Schevarnadze, un’officina meccanica, un laboratorio di produzione di tappeti e
manufatti artigianali, una falegnameria, un grande negozio alimentare con
tavola calda inclusa…..E’ molto amico del patriarca ortodosso che cerca di
aiutare secondo i dettami del papa polacco: " nessun proselitismo con gli
ortodossi, leale collaborazione per avere ottimi cattolici ed ottimi ortodossi
". Purtroppo questa sua scelta, non essendoci più papa Woityla, l’ha
pagata cara. Frequenta molto l’Italia dove è amico in particolare di Ernesto
Olivero, fondatore del Sermig a Torino. Attualmente il padre si occupa di
assistere i poveri verso cui dimostra una particolare attenzione e sensibilità,
mista ad un tatto non comune. Ha fondato una associazione in città: “ Insieme
per il prossimo ”.
Visitiamo l’Ambasciata italiana di
Tbilisi, dove siamo accolti in modo familiare dall’ Ambasciatore dottor Antonio
Bartoli, sensibile ed attivo diplomatico, che ci rappresenta molto bene. Anche
Vittorio e Gian Carlo con il distintivo del CIS sul maglione, sembrano due
figurini! Purtroppo il giorno successivo alla nostra visita, la dogana di
Tbilisi ci informa che il mezzo non può venire sdoganato per alcune mie
imprecisioni della packing list; anche qui si lamentano del vino non aggiunto
in lista e delle due borse di vestiti usati e non disinfettati. In pratica io
non potrei uscire dalla Georgia fino ad accertamenti eseguiti; minacciano di
distruggerci il carico, vogliono farci pagare una multa di circa 7-800 euro.
Assurdo. L’ambasciatore, con la Sua collaboratrice Paola Giustibelli, in
qualche ora risolvono la questione; paghiamo poi solo 70 euro. Ripartiamo così
in pulmann per l’Armenia, ultima tappa di questo burrascoso e non facile
viaggio. L’ambulanza è ferma in dogana a Tbilisi in attesa delle pratiche di
iscrizione al loro PRA. Purtroppo si sono tenuti le targhe ed il libretto in
originale, nonostante le mie rimostranze.
Armenia
Armenia: Strada Tbilisi-Gyumri
Il viaggio fino a Gyumri in Armenia dura
5 ore, l’itinerario di circa 240 km si snoda in terreno montuoso, completamente
ricoperto di neve. Il prezzo del biglietto per noi è molto conveniente: 8 euro.
Lungo la strada vediamo numerose industrie metallurgiche abbandonate, in una di
queste ci dicono avesse lavorato come dirigente il papà di Charles De Gaulle.
Scattiamo numerose fotografie per cercare di fermare nella memoria questi bei
posti; un ragazzo gentilmente si presta a telefonare al proprietario
dell’agriturismo presso cui abbiamo prenotato le camere a mezza pensione,
avvertendolo dell’ora di arrivo. Infatti, puntualissimo Arman, questo il suo
nome, ci accoglie festoso alla stazione dei pulmann, ci porta a visitare il
centro storico ricco di chiese risalenti all’ anno mille od anche prima. In
questa nazione, la religione praticata è quella cattolica di rito armeno; nella
piazza principale la fanno da padrone due bellissime chiese antiche. Comperiamo
anche del vino locale, quello da noi portato dall’ Italia è ancora fermo in
ambulanza alla dogana di Tbilisi. La famiglia che ci ospita, è composta da
genitori ed una coppia di figli di 12-16 anni, studenti.
Siamo capitati in una bella e cordiale
famiglia, unita. La cena è molto varia, con piatti di carne, verdure e sughi
vari non troppo speziati; il pane è fatto in casa come anche il dolce, la
frutta abbonda. Anche Vittorio e Gian Carlo apprezzano la buona ospitalità, e
per cena non faranno mai mancare una buona bottiglia di vino armeno. Un caldo
riposo ci aspetta dopo cena. Il giorno dopo siamo alla Caritas e conosciamo la
direttrice signora Anhait Georgyan; visitiamo molte realtà come il centro per bambini con handicap finanziato dalla
Caritas austriaca, il centro per anziani soli, le ragazze madri, i ragazzi di
strada, ed un villaggio con numerose famiglie che vivono in container dal 1988,
anno del terremoto. Sembra di essere nel nostro Belice! Ci portano anche a
visitare un bellissimo sito dell’anno 900; l'antico ed affascinante monastero
di Marmashen, composto da una chiesa di rito armeno cattolico, con
avanzi di un’altra costruzione religiosa di cento anni prima.
Alla frontiera turca, per loro ritardi
burocratici, siamo costretti a dormire la notte in ambulanza bloccata in
dogana;fa molto freddo e non possiamo accendere il motore per far funzionare il
riscaldamento. Arriviamo quindi ad Istanbul nella tarda serata del terzo
giorno, essendo partiti dalla dogana turca alle 20,30.In questa metropoli con
oltre 15 milioni di abitanti, traffico intenso seppur regolare. Anche qui altra
nota simpatica: arrivando verso mezzanotte, il portiere di un hotel, non dove abbiamo
prenotato, sapendo che veniamo dall’ Italia, si fa in mille per offrirci
un’ottima ospitalità con caffè, thè e pasticcini. Si offre anche di guardarci
il mezzo per tutto il suo turno notturno, rifiutando ogni compenso. Insistiamo
per lasciargli del vino di Canelli. Grazie al navigatore del cellulare di Gian
Carlo troviamo l’hotel in breve tempo.
Sembra di essere sullo Stelvio, con muri di neve ai lati della strada, non passa nessuno, c’è nebbia e tanto buio, ma almeno la strada è ben percorribile. Ci vengono in mente tristi pensieri, ma non lo diciamo; se avessimo un guasto meccanico? Meglio non pensarci. In questo tratto di strada non facile, ha guidato Vittorio, con grande maestria. Ripartiamo il mattino successivo da Trebisonda alle sette, piove.
Abbiamo fatto di tutto per rispettare i tempi, infatti alle 10 siamo in
dogana. Superiamo una lunga fila di camion e dopo un’ora di controlli, entriamo in Georgia. Qui l’attesa è snervante; il personale si lamenta di qualche bottiglia di vino di troppo e di due borse di vestiti usati non dichiarati sulla lista. Pesano e controllano minuziosamente tutto. Non resisto più alle loro lungaggini, sbotto arrabbiato; mi sono accorto che i numerosi pulmann stranieri vengono sdoganati in breve tempo, mentre noi siamo ancora lì fermi. Forse qualcuno si è mosso, cercano di calmarmi! Sono stanco e stufo! Possibile che anche dopo aver portato loro una ottima ambulanza della Aricar-Olmedo, colma di vestiti nuovi tranne quei due pacchi, ed aver regalato loro il tutto, siano ancora lì a rimproverarci per delle inezie? Con tutto quello che abbiamo passato, possibile che non ci sia nessuno con un po’ di buon senso? No, non c’è!
Dopo oltre 3-4 ore ripartiamo, ma ci vogliono sigillare il carico. Vittorio e Gian Carlo cercano in mille modi di chiudere la porticina scorrevole fra il posto guida e la zona posteriore dell’ambulanza.
Armenia
Armenia: Strada Tbilisi-Gyumri |
Il viaggio fino a Gyumri in Armenia dura
5 ore, l’itinerario di circa 240 km si snoda in terreno montuoso, completamente
ricoperto di neve. Il prezzo del biglietto per noi è molto conveniente: 8 euro.
Lungo la strada vediamo numerose industrie metallurgiche abbandonate, in una di
queste ci dicono avesse lavorato come dirigente il papà di Charles De Gaulle.
Scattiamo numerose fotografie per cercare di fermare nella memoria questi bei
posti; un ragazzo gentilmente si presta a telefonare al proprietario
dell’agriturismo presso cui abbiamo prenotato le camere a mezza pensione,
avvertendolo dell’ora di arrivo. Infatti, puntualissimo Arman, questo il suo
nome, ci accoglie festoso alla stazione dei pulmann, ci porta a visitare il
centro storico ricco di chiese risalenti all’ anno mille od anche prima. In
questa nazione, la religione praticata è quella cattolica di rito armeno; nella
piazza principale la fanno da padrone due bellissime chiese antiche. Comperiamo
anche del vino locale, quello da noi portato dall’ Italia è ancora fermo in
ambulanza alla dogana di Tbilisi. La famiglia che ci ospita, è composta da
genitori ed una coppia di figli di 12-16 anni, studenti.
Antico monastero di Marmashen
Stupisce la descrizione anche in lingua
italiana. Visita d’obbligo al nostro Consolato, dove un simpatico e curioso
personaggio ci accoglie benevolmente: ma è il Console! Persona di grande
sensibilità e senso pratico, qualità queste che raramente si trovano nella
stessa persona. Anche qui, come avevamo fatto a Tbilisi, la sera teniamo un
collegamento con radio Veronica One di Torino; la brava e sensibile Stefania ci
stupisce sempre con domande personali e curiose. Acquistati i regali e spese le
ultime dram, ci addormentiamo contenti di aver terminato il nostro viaggio. Il
mattino successivo alle 4 viene a prenderci il taxi, Arman ci accompagna all’
aeroporto di Yerevan, capitale dell’Armenia. Lungo la strada vediamo cicogne
appollaiate nel nido con qualche piccolo. Il monte Ararat 5165 metri, di
biblica memoria, si staglia nitido completamente innevato, sembra voglia
proteggere la capitale.
Ci affiorano alla mente numerosi
ricordi, tantissimi visi, ricordo un camionista toscano, ma rumeno di nascita,
incontrato in un momento difficile al confine turco, che ci ha offerto un buon
caffè italiano, fatto con la sua macchinetta, un autista armeno che vive in
Francia, capita la nostra situazione critica, ci offre la colazione alla dogana
turca; gli regaliamo del vino. Rivediamo Il viso di tanti bambini allegri,
abituati a vivere in un posto bellissimo, semplice e povero. Padre Witold a
Tbilisi ci aveva portati a visitare una vedova 86 enne, cieca e sola, che
viveva in una stamberga rosicchiata dai topi; appena ha saputo che eravamo
italiani, ha citato la costa Amalfitana e Sanremo, conosciute solo sui
giornali.
Certo che in Italia, tutto sommato, si sta
ancora bene! Ringrazio Vittorio e Gian Carlo per il costante ed insostituibile
aiuto prestato, e per aver condiviso gioie e momenti difficili in tutti questi
14 giorni. Pier
Antico monastero di Marmashen
Stupisce la descrizione anche in lingua
italiana. Visita d’obbligo al nostro Consolato, dove un simpatico e curioso
personaggio ci accoglie benevolmente: ma è il Console! Persona di grande
sensibilità e senso pratico, qualità queste che raramente si trovano nella
stessa persona. Anche qui, come avevamo fatto a Tbilisi, la sera teniamo un
collegamento con radio Veronica One di Torino; la brava e sensibile Stefania ci
stupisce sempre con domande personali e curiose. Acquistati i regali e spese le
ultime dram, ci addormentiamo contenti di aver terminato il nostro viaggio. Il
mattino successivo alle 4 viene a prenderci il taxi, Arman ci accompagna all’
aeroporto di Yerevan, capitale dell’Armenia. Lungo la strada vediamo cicogne
appollaiate nel nido con qualche piccolo. Il monte Ararat 5165 metri, di
biblica memoria, si staglia nitido completamente innevato, sembra voglia
proteggere la capitale.
Notizia originale
Questo articolo contiene notizie di prima
mano comunicate da parte di uno o più contribuenti della
comunità di Wikinotizie.
Viaggio umanitario del C I S in Senegal e
Mauritania
( Da Wikinotizie ) 15 Marzo 2020
Saint Louis donazione dell'ambulanza all'
ospedale della città
Con l’ ambulanza donataci dalla ASAVA di Alba e il
minibus regalatoci dall’ autonoleggio Cordero di Priocca d'Alba, giovedì 30
Gennaio partiamo da Canelli con imbarco a Genova in traghetto per Tangeri, in
Marocco. Il dr. L. Zannini, ex primario cardiochirurgico al Gaslini di Genova,
che anni fa aveva partecipato con noi al viaggio in Etiopia, Sudan per portare
ambulanza; ci aveva promesso di salutarci alla partenza, ma il giorno prima è
stato chiamato in Algeria, dove va sovente ad operare bambini. I partecipanti
del viaggio sono: mio cognato Vittorio Baudino di Sanremo, mio fratello Gian
Carlo di Torino, ed un amico, new entry David Francescatti ingegnere che lavora
da anni in Germania. Dopo due giorni di navigazione si arriva a Tangeri, verso
mezzogiorno di sabato. La temperatura è fresca. Speriamo solo che non ci
facciano troppe storie in dogana. Ci accordiamo di fermarci all'uscita dal
traghetto subito dopo la rampa; invece, la bella sorpresa: Vittorio alla guida
del minibus con Gian Carlo, non ci sono! Dove saranno andati? L'ora del vicino
pranzo mi fa pensare male! Eppure il loro mezzo di colore giallo è molto
appariscente! Ci incontriamo dopo un po' che vagavano per il grandissimo porto.
Non abbiamo tempo per il pranzo, dobbiamo prima sbrigare le numerose formalità
doganali!
Qui comincia il calvario. In dogana nonostante
avessimo tutti i documenti richiesti dalla dogana marocchina e controllati
prima della partenza dalle rispettive Ambasciate, ci fermano per tre giorni. Le
ambulanze non possono transitare in Marocco, senza autorizzazione ministeriale,
i mezzi devono fare un lungo iter, perché immatricolati dopo otto anni;
l’ufficio preposto riapre lunedì. A Tangeri, dove ci fermiamo, i tre compagni
di viaggio impiegano il tempo visitando questa bella città, specie la parte
vecchia; non li seguo perché ho altro da fare, conosco già la città! Quando ci
ripresentiamo in dogana, il responsabile ci fa attendere fino alle 17; per
legge dovremmo pagare per ogni mezzo 9000 euro di cauzione per passare.
Siamo stati tutto il giorno in giro per la grande
dogana, di Tanger Med lunga circa 5 km; è stato un incubo! Telefono a tante
ambasciate con risposte evasive ! Siamo ormai convinti di non entrare,
come ci ripetono sempre! Non conoscendo il francese, devo continuamente passare
le tante telefonate a Davide, che però non perde mai la calma. In serata, forse
perché facciamo loro pena, alle 20 ci consegnano i documenti di transito, senza
pagare nulla; un dirigente della nostra Ambasciata a Rabat, si è poi attivato
sul posto! Siamo stanchi, incontrato l’autista che guiderà il minibus in
Marocco, decidiamo di cenare e dormire fuori Tangeri, anche perché non possiamo
assicurare i mezzi per gli uffici chiusi ed abbiamo pure saltato pranzo, cosa
che sarà poi la norma.
Partiamo?
Il mattino successivo alle 6 stiamo per partire, ma
inaspettatamente l’autista contattato dall’ Italia per guidare il minibus fino
alla frontiera della Mauritania, decide di andarsene pretendendo i soldi
pattuiti! Ha un impegno il giorno dopo! Ha guidato in tutto 15 minuti! Gli
consegno un ottimo compenso, ma lui pretenderebbe di più! Viene sostituito dal
bravo Vittorio, camionista fino ad un anno fa, molto esperto di guida; accetta
l’incarico a malincuore, se finirà in prigione, per mancanza di specifica
patente, gli abbiamo promesso frutta fresca ogni giorno! Purtroppo il
precedente “ autista “, incompetente, aveva rotto il dispositivo di chiusura
della porta del passeggero, dobbiamo legarla perché guidando di notte, il
freddo si fa sentire! Prima di Rabat, lasciamo Vittorio e Gian Carlo in
autogrill; con Davide vado in centro dove incontriamo un' ottima persona che ci
accompagna a fare l'assicurazione dei mezzi. Ci offre anche un ottimo thè!
Incontreremo altre persone simili! La bella autostrada
collega Tangeri ad Agadir, completamente ricostruita quest'ultima dopo il
terremoto degli anni sessanta. Durante il viaggio non so come trovare un altro
autista! Mi viene in aiuto un vero angelo custode! Come un miraggio nel deserto
che attraverseremo. Fatima, infermiera marocchina che lavora con me in Italia,
tramite il padre, persona anch'egli molto disponibile, riesce in poche ore a
trovare un simpatico autista " Kalid ", che ci sta già aspettando a
Casablanca. La stessa ragazza a Tangeri era riuscita ad aiutarci, parlando con
parente in ambasciata marocchina. Non la ringrazierò mai abbastanza. All’ una
di notte siamo a Marrakech, città fiabesca! Peccato però che ci si possa
fermare solo per la notte, abbiamo già perso troppo tempo. Nei giorni successivi
attraversiamo Tan Tan, Layoune e Daklà.
MAURITANIA
Finalmente, superata la famigerata terra di nessuno,
dove è facilissimo impiantarsi nella polvere, zona molto rischiosa per la
presenza di predoni, si entra in Mauritania! La nostra ambasciata sconsiglia
nel modo più assoluto di entrarci. E' la quinta volta che ci vado, per fortuna
senza problemi particolari. Ancora qualche ora di attesa e, senza pagare un
euro, ci fanno passare. Vediamo il famoso treno del ferro lungo circa 2,5 km.
ed in serata arriviamo alla missione cattolica di Nouadhibou, appollaiata sulla
piccola collina della città.
Arriviamo nel tardo pomeriggio, quando i ragazzi
giocano ancora al pallone. Rispetto all'ultima volta che ero stato, noto che
sostanzialmente non è cambiato nulla, ci sono sempre gli stessi servizi alla
popolazione, specie quella meno abbiente. Pare che i rapporti con il governo
siano migliorati, dopo l'apertura della nunziatura, voluta dall'attuale
pontefice, cui corrisponde una reciprocità a Roma. I cattolici sono pochi, ma
le loro attività assistenziali risultano essere molto numerose. Non è possibile
fare proselitismo, per questo motivo, non esistono scuole di religiosi, anche
se la religione cattolica è rispettata, nelle forme dovute. Padre Jerome,
precedente missionario della parrocchia, è attualmente in Nigeria, nazione dove
è nato. Ho quindi avuto contatti con lui per prenotare le camere. Parlando con
la gente, capisco che anche qui la chiesa è ben accettata.Il Governo mantiene
un rigido controllo del territorio per evitare la formazione di gruppi
terroristici. Buona accoglienza, ottima cenetta con spaghetti; lasciamo alla
missione materiale medico regalatomi dalla compianta signora Bonini, e gli
utilissimi occhiali usati. Altra tappa in vescovado nella moderna capitale
Nouakchott per cena e pernottamento. Il giorno dopo sempre con
Nicholas, autista che incontriamo a Nouadhibou, attraversiamo il bellissimo, ma
durissimo, per la pessima pista! ( il minibus ha le balestre come sospensioni!
), parco nazionale del Diawling, con numerosi uccelli migratori, in una zona
ricca di laghetti, con tanto verde, immersa nel deserto con il mare che fa da
sfondo. Siamo quasi in Senegal, tiriamo un sospiro di sollievo, abbiamo la
schiena a pezzi, le gambe non ci reggono facilmente per i continui sbalzi e testate,
i nostri bagagli sono sparsi per tutti i mezzi.
SENEGAL
Ci illudiamo di avere terminato l’odissea. No! In
dogana a Diema, ci viene detto che i mezzi, essendo di oltre otto anni di
immatricolazione, non possono entrare. Alle mie rimostranze i militari ci
pongono l’alternativa di pagare 2500 euro di cauzione per ogni mezzo. E’
assurdo, non abbiamo tale cifra. Stranamente poi decidono di trattenere solo il
minibus, che avremmo dovuto donare alla scuola delle suore di Cluny sempre a
Saint Louis, mentre l’ambulanza era destinata all’ ospedale della stessa città.
Pazienza, ripartiamo tutti sull’ ambulanza, sperando che non ci fermino per
controlli. Fra Marocco e Mauritania abbiamo incontrato circa 36 check-point di
gendarmeria e polizia; ci siamo attrezzati dando loro fotocopie del passaporto,
senza problemi. Cosa strana: negli ultimi cinquanta chilometri prima della
dogana senegalese i militari dei tre posti di blocco, ci chiedono tutti se
volessimo vendere loro il minibus! ’ arrivo a Saint Louis nel tardo pomeriggio,
l’agognato incontro con suor Celestine; un buon pasto dalle suore ci ritempra
un po', dopo esserci tolto di dosso con una bella doccia, i chili di polvere
che ci sono entrati persino nelle ossa. Pernottamento presso la famiglia di
Johan Gomis che conosco da anni. Di fronte all'abitazione c'è un forno che ci
inonda con un profumino allettante!
Il mattino successivo consegnamo l’ambulanza all’
ospedale regionale, dove ci aspetta uno staff di medici, primari con il
direttore sanitario.
Ci offrono un’ ottimo pranzo in ristorante ed un bel
regalo. Non voglio arrendermi, nelle ore libere dall’ ambulatorio, con suor
Celestine, giriamo per gli uffici doganali di Saint Louis, per cercare di
sbloccare il minibus fermo in frontiera. Il giorno prima di partire per Dakar
decido, una volta rientrato a casa, di inviare i soldi richiesti, tramite
bonifico alla dogana, dopo aver ricevuto rassicurazioni che il mezzo sarebbe
poi stato consegnato alla scuola dell'istituto. Suor Celestine mi consiglia di
aspettare a pagare, mi accompagna in altri uffici doganali;
finalmente entriamo nell’ ufficio del colonnello
Ndiaye, simpatico e serio ispettore principale delle Dogane, che ci sconsiglia
assolutamente di pagare, mi promette che nel giro di una settimana, il minibus
sarà sbloccato senza spendere un euro! Miracolo! In questo caso, prometto i
ringraziamenti su giornale che poi gli invierò. Vittorio, Gian Carlo e Davide
proseguono per Dakar, dove si fermeranno fino a quando li raggiungerò per la
partenza. Trascorrono il tempo visitando il Paese, come l’isola di Gorè ed il
lago rosa ed altri posti, rimanendo affascinati. Dopo le mille visite mediche
in ambulatorio ed ospedale, raggiungo i miei compagni a Dakar. Trascorriamo
insieme il pomeriggio dai salesiani, dove come sempre, un nugolo di ragazzi/e
giocano allegramente.
Dakar Centro cardiologico pediatrico
"Cuomo " con il dr. Adama Kane
Grazie al primario di
cardiologia dr. Adama Kane, amico da qualche anno, a Dakar andiamo a visitare
un centro ospedaliero franco-italiano,“Centro di cardiochirurgia Cuomo”, attivo
da due anni, dove effettuano interventi al cuore anche a bambini con difetti
congeniti, che morirebbero, se l’intervento non venisse fatto. Ho firmato una
collaborazione con l’ospedale e la mia onlus C I S, per poter finalmente fare
operare ogni anno, alcuni di questi bambini lì sul posto in Senegal, con ovvi
vantaggi per tutti, inclusi quelli economici. Siamo molto soddisfatti. Abbiamo
penato molto durante il viaggio, in particolare: mio cognato, operato al cuore
e mio fratello per una grave malattia. Finalmente abbiamo ottenuto un bel
risultato concreto, grazie alla collaborazione di tutti noi e delle tante
persone che ci hanno aiutato. Il giorno prima della partenza, a Dakar visito il
piccolo Charles, bimbo senegalese
che qualche
mese prima avevo fatto operare al Gaslini per grave malformazione al cuore,
grazie alla collaborazione con la Onlus di Aosta "Ana Moise. Abbiamo avuto
due dirette con radio Veronica One di Torino, gestite sempre dalla bravissima
Stefania,con collegamenti dalla Mauritania e dal Senegal. Purtroppo per me,
oltre i mille problemi, negli ultimi due giorni sono in ansia per il mio
adorato nipotino Andrea di due anni per problemi respiratori; i pediatri hanno
deciso il ricovero se il piccolo continua a non accettare di assumere
l'antibiotico. Telefono spesso per
avere notizie, poi
il giorno prima di partire, la febbre inizia a scendere, ora sta bene ed è a
casa!!! Siamo tutti soddisfatti, anche se stanchi. Il gruppo molto amalgamato è
costituito da gente simpatica cui non interessa solo l’aspetto turistico del
viaggio. Come sempre, in questi casi, alcuni ricordi affollano la mente:
simpatico l’incontro con gli oltre settecento bambini della scuola di Saint
Joseph de Cluny; certo che Davide con i bambini ci sa fare, li fa cantare, li
intrattiene con mille scherzi; sul pulmino che li raccoglie per portarli a
scuola, rimaniamo pigiati con loro, il mezzo è carico all'inverosimile, ridono
tutti di cuore! Vittorio e Gian Carlo partecipano allegri e divertiti al breve
viaggio in Saint Louis, ( uno dei motivi per cui ci vado sovente! ) Molto
simpatica anche se breve la sosta in tenda di Tuareg, per bere i tre famosi
thè, anche se non gradiamo molto l’uso di quattro bicchierini per otto persone,
e l’assaggio del latte di cammello da una ciotola comune!
Quella famiglia gradisce molto la nostra visita perché, dice che li abbiamo aiutati prendendo il thè da
loro! Se lo facessero anche i turisti che passano!!! E dire che, durante il
viaggio, quando avevo detto all'autista di fermarsi per il thè, perché avevamo tutti almeno sete, egli si è fermato
in un rarissimo bar; i compagni erano tutti molto contenti per la sosta, ma si
sono ribellati quando ho detto loro che la sorpresa doveva ancora venire!
L'autista si era sbagliato a fermarsi lì, abbiamo ripreso il viaggio fra i loro
mugugni, ma solo per pochi chilometri perché poi ci siamo fermati nella tenda.
Il rientro a casa
Il giorno della partenza col volo, presenziamo alla
messa a Dakar alla missione dei salesiani; il coro esegue allegri canti
religiosi ritmati da tamburi e maracas, accompagnati da eleganti danze, e
condite da tanti, tanti sorrisi! Le donne, con la laboriosa pettinatura, sono
avvolte nei loro abiti dagli sgargianti colori! Non notiamo nessuno voltarsi,
sono concentrati sulla funzione religiosa, si comunicano tutti! Le circa due
ore trascorse in chiesa passano in fretta senza accorgercene. Padre Carlos,
salesiano peruviano che conosco da anni, è anche lui coinvolto dall’ allegria
in chiesa; egli attualmente è in Gambia, dove vuole aprire un ambulatorio
medico, gli consegno un buon contributo. Come sempre, anche di questo viaggio,
la nota dominante, che ci ricorderemo volentieri, è l’allegro sorriso dei
bambini.Pur avendo ricevuto pochissimo dalla vita, non perdono mai la
contentezza; rarissime le persone tristi, o peggio arrabbiate, il fumo poi è
quasi assente! Ringrazio tutti i miei tre validi e simpatici collaboratori, e
le nostre mogli per non averci ostacolato nella difficile impresa. Un ricordo
particolare all’ amico austriaco ing. Wolfgang che non ha potuto partire con
noi per grave problema familiare, come invece si era preparato! A Milano appena
esco dal metrò, Andrea vedendomi ammutolisce dalla gioia! Lo abbraccio
contento, sono a casa!
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Questo articolo contiene notizie di prima
mano comunicate
da parte di uno o più contribuenti della comunità di
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Viaggio umanitario del C I S in Senegal e Mauritania
( Da Wikinotizie ) 15 Marzo 2020
Saint Louis donazione dell'ambulanza all'
ospedale della città
Qui comincia il calvario. In dogana nonostante
avessimo tutti i documenti richiesti dalla dogana marocchina e controllati
prima della partenza dalle rispettive Ambasciate, ci fermano per tre giorni. Le
ambulanze non possono transitare in Marocco, senza autorizzazione ministeriale,
i mezzi devono fare un lungo iter, perché immatricolati dopo otto anni;
l’ufficio preposto riapre lunedì. A Tangeri, dove ci fermiamo, i tre compagni
di viaggio impiegano il tempo visitando questa bella città, specie la parte
vecchia; non li seguo perché ho altro da fare, conosco già la città! Quando ci
ripresentiamo in dogana, il responsabile ci fa attendere fino alle 17; per
legge dovremmo pagare per ogni mezzo 9000 euro di cauzione per passare.
Siamo stati tutto il giorno in giro per la grande
dogana, di Tanger Med lunga circa 5 km; è stato un incubo! Telefono a tante
ambasciate con risposte evasive ! Siamo ormai convinti di non entrare,
come ci ripetono sempre! Non conoscendo il francese, devo continuamente passare
le tante telefonate a Davide, che però non perde mai la calma. In serata, forse
perché facciamo loro pena, alle 20 ci consegnano i documenti di transito, senza
pagare nulla; un dirigente della nostra Ambasciata a Rabat, si è poi attivato
sul posto! Siamo stanchi, incontrato l’autista che guiderà il minibus in
Marocco, decidiamo di cenare e dormire fuori Tangeri, anche perché non possiamo
assicurare i mezzi per gli uffici chiusi ed abbiamo pure saltato pranzo, cosa
che sarà poi la norma.
Partiamo?
Il mattino successivo alle 6 stiamo per partire, ma
inaspettatamente l’autista contattato dall’ Italia per guidare il minibus fino
alla frontiera della Mauritania, decide di andarsene pretendendo i soldi
pattuiti! Ha un impegno il giorno dopo! Ha guidato in tutto 15 minuti! Gli
consegno un ottimo compenso, ma lui pretenderebbe di più! Viene sostituito dal
bravo Vittorio, camionista fino ad un anno fa, molto esperto di guida; accetta
l’incarico a malincuore, se finirà in prigione, per mancanza di specifica
patente, gli abbiamo promesso frutta fresca ogni giorno! Purtroppo il
precedente “ autista “, incompetente, aveva rotto il dispositivo di chiusura
della porta del passeggero, dobbiamo legarla perché guidando di notte, il
freddo si fa sentire! Prima di Rabat, lasciamo Vittorio e Gian Carlo in
autogrill; con Davide vado in centro dove incontriamo un' ottima persona che ci
accompagna a fare l'assicurazione dei mezzi. Ci offre anche un ottimo thè!
Incontreremo altre persone simili! La bella autostrada
collega Tangeri ad Agadir, completamente ricostruita quest'ultima dopo il
terremoto degli anni sessanta. Durante il viaggio non so come trovare un altro
autista! Mi viene in aiuto un vero angelo custode! Come un miraggio nel deserto
che attraverseremo. Fatima, infermiera marocchina che lavora con me in Italia,
tramite il padre, persona anch'egli molto disponibile, riesce in poche ore a
trovare un simpatico autista " Kalid ", che ci sta già aspettando a
Casablanca. La stessa ragazza a Tangeri era riuscita ad aiutarci, parlando con
parente in ambasciata marocchina. Non la ringrazierò mai abbastanza. All’ una
di notte siamo a Marrakech, città fiabesca! Peccato però che ci si possa
fermare solo per la notte, abbiamo già perso troppo tempo. Nei giorni successivi
attraversiamo Tan Tan, Layoune e Daklà.
MAURITANIA
Finalmente, superata la famigerata terra di nessuno,
dove è facilissimo impiantarsi nella polvere, zona molto rischiosa per la
presenza di predoni, si entra in Mauritania! La nostra ambasciata sconsiglia
nel modo più assoluto di entrarci. E' la quinta volta che ci vado, per fortuna
senza problemi particolari. Ancora qualche ora di attesa e, senza pagare un
euro, ci fanno passare. Vediamo il famoso treno del ferro lungo circa 2,5 km.
ed in serata arriviamo alla missione cattolica di Nouadhibou, appollaiata sulla
piccola collina della città.
Arriviamo nel tardo pomeriggio, quando i ragazzi
giocano ancora al pallone. Rispetto all'ultima volta che ero stato, noto che
sostanzialmente non è cambiato nulla, ci sono sempre gli stessi servizi alla
popolazione, specie quella meno abbiente. Pare che i rapporti con il governo
siano migliorati, dopo l'apertura della nunziatura, voluta dall'attuale
pontefice, cui corrisponde una reciprocità a Roma. I cattolici sono pochi, ma
le loro attività assistenziali risultano essere molto numerose. Non è possibile
fare proselitismo, per questo motivo, non esistono scuole di religiosi, anche
se la religione cattolica è rispettata, nelle forme dovute. Padre Jerome,
precedente missionario della parrocchia, è attualmente in Nigeria, nazione dove
è nato. Ho quindi avuto contatti con lui per prenotare le camere. Parlando con
la gente, capisco che anche qui la chiesa è ben accettata.Il Governo mantiene
un rigido controllo del territorio per evitare la formazione di gruppi
terroristici. Buona accoglienza, ottima cenetta con spaghetti; lasciamo alla
missione materiale medico regalatomi dalla compianta signora Bonini, e gli
utilissimi occhiali usati. Altra tappa in vescovado nella moderna capitale
Nouakchott per cena e pernottamento. Il giorno dopo sempre con
Nicholas, autista che incontriamo a Nouadhibou, attraversiamo il bellissimo, ma
durissimo, per la pessima pista! ( il minibus ha le balestre come sospensioni!
), parco nazionale del Diawling, con numerosi uccelli migratori, in una zona
ricca di laghetti, con tanto verde, immersa nel deserto con il mare che fa da
sfondo. Siamo quasi in Senegal, tiriamo un sospiro di sollievo, abbiamo la
schiena a pezzi, le gambe non ci reggono facilmente per i continui sbalzi e testate,
i nostri bagagli sono sparsi per tutti i mezzi.
SENEGAL
Ci illudiamo di avere terminato l’odissea. No! In
dogana a Diema, ci viene detto che i mezzi, essendo di oltre otto anni di
immatricolazione, non possono entrare. Alle mie rimostranze i militari ci
pongono l’alternativa di pagare 2500 euro di cauzione per ogni mezzo. E’
assurdo, non abbiamo tale cifra. Stranamente poi decidono di trattenere solo il
minibus, che avremmo dovuto donare alla scuola delle suore di Cluny sempre a
Saint Louis, mentre l’ambulanza era destinata all’ ospedale della stessa città.
Pazienza, ripartiamo tutti sull’ ambulanza, sperando che non ci fermino per
controlli. Fra Marocco e Mauritania abbiamo incontrato circa 36 check-point di
gendarmeria e polizia; ci siamo attrezzati dando loro fotocopie del passaporto,
senza problemi. Cosa strana: negli ultimi cinquanta chilometri prima della
dogana senegalese i militari dei tre posti di blocco, ci chiedono tutti se
volessimo vendere loro il minibus! ’ arrivo a Saint Louis nel tardo pomeriggio,
l’agognato incontro con suor Celestine; un buon pasto dalle suore ci ritempra
un po', dopo esserci tolto di dosso con una bella doccia, i chili di polvere
che ci sono entrati persino nelle ossa. Pernottamento presso la famiglia di
Johan Gomis che conosco da anni. Di fronte all'abitazione c'è un forno che ci
inonda con un profumino allettante!
Il mattino successivo consegnamo l’ambulanza all’
ospedale regionale, dove ci aspetta uno staff di medici, primari con il
direttore sanitario.
Ci offrono un’ ottimo pranzo in ristorante ed un bel
regalo. Non voglio arrendermi, nelle ore libere dall’ ambulatorio, con suor
Celestine, giriamo per gli uffici doganali di Saint Louis, per cercare di
sbloccare il minibus fermo in frontiera. Il giorno prima di partire per Dakar
decido, una volta rientrato a casa, di inviare i soldi richiesti, tramite
bonifico alla dogana, dopo aver ricevuto rassicurazioni che il mezzo sarebbe
poi stato consegnato alla scuola dell'istituto. Suor Celestine mi consiglia di
aspettare a pagare, mi accompagna in altri uffici doganali;
finalmente entriamo nell’ ufficio del colonnello
Ndiaye, simpatico e serio ispettore principale delle Dogane, che ci sconsiglia
assolutamente di pagare, mi promette che nel giro di una settimana, il minibus
sarà sbloccato senza spendere un euro! Miracolo! In questo caso, prometto i
ringraziamenti su giornale che poi gli invierò. Vittorio, Gian Carlo e Davide
proseguono per Dakar, dove si fermeranno fino a quando li raggiungerò per la
partenza. Trascorrono il tempo visitando il Paese, come l’isola di Gorè ed il
lago rosa ed altri posti, rimanendo affascinati. Dopo le mille visite mediche
in ambulatorio ed ospedale, raggiungo i miei compagni a Dakar. Trascorriamo
insieme il pomeriggio dai salesiani, dove come sempre, un nugolo di ragazzi/e
giocano allegramente.
Dakar Centro cardiologico pediatrico
"Cuomo " con il dr. Adama Kane
Grazie al primario di
cardiologia dr. Adama Kane, amico da qualche anno, a Dakar andiamo a visitare
un centro ospedaliero franco-italiano,“Centro di cardiochirurgia Cuomo”, attivo
da due anni, dove effettuano interventi al cuore anche a bambini con difetti
congeniti, che morirebbero, se l’intervento non venisse fatto. Ho firmato una
collaborazione con l’ospedale e la mia onlus C I S, per poter finalmente fare
operare ogni anno, alcuni di questi bambini lì sul posto in Senegal, con ovvi
vantaggi per tutti, inclusi quelli economici. Siamo molto soddisfatti. Abbiamo
penato molto durante il viaggio, in particolare: mio cognato, operato al cuore
e mio fratello per una grave malattia. Finalmente abbiamo ottenuto un bel
risultato concreto, grazie alla collaborazione di tutti noi e delle tante
persone che ci hanno aiutato. Il giorno prima della partenza, a Dakar visito il
piccolo Charles, bimbo senegalese
che qualche
mese prima avevo fatto operare al Gaslini per grave malformazione al cuore,
grazie alla collaborazione con la Onlus di Aosta "Ana Moise. Abbiamo avuto
due dirette con radio Veronica One di Torino, gestite sempre dalla bravissima
Stefania,con collegamenti dalla Mauritania e dal Senegal. Purtroppo per me,
oltre i mille problemi, negli ultimi due giorni sono in ansia per il mio
adorato nipotino Andrea di due anni per problemi respiratori; i pediatri hanno
deciso il ricovero se il piccolo continua a non accettare di assumere
l'antibiotico. Telefono spesso per
avere notizie, poi
il giorno prima di partire, la febbre inizia a scendere, ora sta bene ed è a
casa!!! Siamo tutti soddisfatti, anche se stanchi. Il gruppo molto amalgamato è
costituito da gente simpatica cui non interessa solo l’aspetto turistico del
viaggio. Come sempre, in questi casi, alcuni ricordi affollano la mente:
simpatico l’incontro con gli oltre settecento bambini della scuola di Saint
Joseph de Cluny; certo che Davide con i bambini ci sa fare, li fa cantare, li
intrattiene con mille scherzi; sul pulmino che li raccoglie per portarli a
scuola, rimaniamo pigiati con loro, il mezzo è carico all'inverosimile, ridono
tutti di cuore! Vittorio e Gian Carlo partecipano allegri e divertiti al breve
viaggio in Saint Louis, ( uno dei motivi per cui ci vado sovente! ) Molto
simpatica anche se breve la sosta in tenda di Tuareg, per bere i tre famosi
thè, anche se non gradiamo molto l’uso di quattro bicchierini per otto persone,
e l’assaggio del latte di cammello da una ciotola comune!
Quella famiglia gradisce molto la nostra visita perché, dice che li abbiamo aiutati prendendo il thè da
loro! Se lo facessero anche i turisti che passano!!! E dire che, durante il
viaggio, quando avevo detto all'autista di fermarsi per il thè, perché avevamo tutti almeno sete, egli si è fermato
in un rarissimo bar; i compagni erano tutti molto contenti per la sosta, ma si
sono ribellati quando ho detto loro che la sorpresa doveva ancora venire!
L'autista si era sbagliato a fermarsi lì, abbiamo ripreso il viaggio fra i loro
mugugni, ma solo per pochi chilometri perché poi ci siamo fermati nella tenda.
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- https://it.wikinews.org/wiki/Viaggio_umanitario_del_C.I.S.S._in_Mauritania
- https://it.wikinews.org/wiki/Viaggio_umanitario_del_CIS_in_Senegal_e_Mali
- https://it.wikinews.org/wiki/Viaggio_umanitario_del_CIS_in_Costa_d%27Avorio
- https://it.wikinews.org/wiki/Viaggio_umanitario_del_CIS_in_Guinea
- https://it.wikinews.org/wiki/Viaggio_umanitario_del_CIS_in_Etiopia-Sudan
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- https://it.wikinews.org/wiki/Viaggio_umanitario_del_CIS_in_Ruanda
- https://it.wikinews.org/wiki/Viaggio umanitario del CIS in Armenia
- https://it.wikinews.org/wiki/Ennesimo_viaggio_umanitario_del_CIS_in_Senegal